Il nuovo focolaio sviluppato al mercato di Xinfadi preoccupa la Cina, che reagisce blindando la città. Lockdown per chi vive nelle aree limitrofe, voli cancellati, scuole chiuse, posti di blocco, autorizzazioni e certificato nuovamente necessari per chi intenda vagliare i confini urbani, alle aziende è stato consigliato il ricorso allo smart working.
Sembrerebbe proprio un ritorno alla situazione di febbraio.
La nuova ondata di casi di coronavirus sembra essere partita, ancora una volta, da un mercato. Questa volta si tratta di Xinfadi, uno dei principali mercati all’ingrosso di frutta, verdura, carne e pesce per la capitale nazionale. Dalla scoperta dei primi nuovi casi si è deciso per la chiusura del mercato. Ma, secondo i dati di Xinhua News Agency, in condizioni normali Xinfadi fornirebbe circa il 70% delle verdure, il 10% di carne di maiale e il 3% di carne di manzo del fabbisogno della capitale.
Un dato sorprendente
Nell’ultima settimana sono stati rilevati oltre centocinquanta casi di COVID-19 in almeno quattro province cinesi. Può non sembrare un numero preoccupante rapportato alla popolazione pechinese di oltre ventuno milioni di persone. Tuttavia, questo scoppio improvviso ha scatenato da subito il timore di una seconda ondata. Un dato sorprendente, soprattutto dopo la mancata registrazione di nuovi casi per cinquantacinque giorni di fila.
Cai Qi, alto funzionario del Partito Comunista, ha dichiarato la gravità della situazione di prevenzione e controllo del virus a Pechino. Situazione che ora può migliorare, essendo stato nominato capo del gruppo incaricato dell’eliminazione del virus a Xinfadi.
Ma secondo un epidemiologo la situazione sarebbe sotto controllo
Wu Zunyou, esperto di epidemiologia presso il Centro cinese per il controllo e la prevenzione delle malattie (CCDCP), ha rassicurato i giornalisti dicendo che il nuovo focolaio avrebbe raggiunto il picco intorno al 13 giugno e che ora sarebbe “sotto controllo”. Ha specificato, in seguito:
Questo non vuol dire che il numero di casi si azzererà domani, né dopodomani. Ciò non significa che non risulteranno più referti di altri pazienti da domani. La curva si evolverà ancora per un periodo di tempo, ma il numero di casi scenderà man mano. Esattamente come abbiamo già visto succedere a gennaio e a febbraio.
Ma come è potuto accadere?
La vita in Cina stava gradualmente ritornando alla normalità prima di questo nuovo focolaio. Le persone avevano ricominciato a lavorare e i ristoranti avevano riaperto. Ma alcune delle misure anti-covid più rigide sono rimaste. Agli stranieri è ancora negato l’accesso al Paese, salvo poche eccezioni. L’ingresso ai condomini e ai negozi richiede sempre l’utilizzo di un qr code sul telefono per registrare la cronologia degli spostamenti. Le maschere e i controlli della temperatura sono ovunque.
Eppure, eccoci qui. Le sue origini esatte rimangono un mistero, nonostante il tentativo cinese di appuntare come colpevole il salmone norvegese. Su questa materia si sarebbero trovate tracce di coronavirus all’interno del mercato Xinfadi. In realtà, si tratta di un’accusa dotata di poco fondamento scientifico. A riguardo sono stati espressi dubbi, oltre che dal Ministro della Pesca norvegese, anche dalle stesse autorità cinesi. Infatti, tracce di COVID-19 si sarebbero trovate anche in altri punti del mercato, portando a pensare che l’agente scatenante non possa essere il salmone.
Un avvertimento per il resto del mondo
Oltre Pechino, si è registrata una nuova impennata di casi anche in un’altra capitale asiatica. A Tokyo, infatti, sono stati segnalati più di venti nuovi casi negli ultimi sei giorni. Questi picchi dovrebbero servire da monito per l’Italia e tutti gli altri Paesi sulla possibilità dello scoppio di una nuova ondata.