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L’unica evasione consentita? Quella dei paradisi fiscali europei

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Con la Flat Tax è riemersa quell’atavica sensibilità del centro-sinistra verso le tematiche fiscali. Peccato che il loro europeismo viscerale, li faccia tacere in merito ad una delle principali fonti di evasione.

 

Se esiste un aspetto vincente nella linea di condotta dell’attuale esecutivo (che non è mai stato negato nemmeno dal più aspro tra tutti i detrattori), questo è senza dubbio rappresentato dalla capacità di intercettare il malcontento popolare. Un’abilità che purtuttavia, trascina con sé anche un’altra faccia della medaglia, quasi fosse un effetto collaterale obbligatorio per disinnescare il suddetto malcontento: l’elargizione di promesse a fondo perduto. Un meccanismo molto simile ad un assegno in bianco staccato di fronte agli elettori, il quale dopo aver consentito la smisurata razzia di consensi verificatasi il 4 Marzo 2018, si è gradualmente materializzato sotto differenti spoglie per presentare il conto; nello specifico, il problema della concreta conversione pratica del faraonico programma in materia previdenziale e tributaria.

Uno scontro con la realtà che è si è rivelato più duro del previsto per la squadra di governo, tanto per il difficile superamento di alcune incompatibilità antropologiche tra le due anime dell’esecutivo gialloverde, quanto per l’ostruzionismo ambientale del tridente formato da istituzioni europee, agenzie di rating e clero mediatico. Criticità che, naturalmente, anche l’opposizione – quando non impegnata a sproloquiare di fascismi immaginari – non ha mancato di mettere in luce.

 

Da quota cento alla Flat Tax

Dapprima è stata ferocemente osteggiata la cosiddetta “quota cento”, colpevole di portare un abbassamento medio delle pensioni (obiezione puntuale solo in parte, dato che la riforma prevede l’elemento della volontarietà) e di non poter garantire il ricambio generazionale previsto dal governo. Dopodiché è stato il reddito di cittadinanza a cadere sotto le luci dei riflettori, a causa della difficile collaborazione tra diversi enti, dei dubbi sulla opaca figura dei navigator e della sua sospetta improduttività. E per finire, è stata la volta della Flat Tax, manovra che arrecherebbe un vantaggio consistente alle tasche dei ceti più abbienti, oltre a porre dubbi di legittimità costituzionale per il mancato rispetto del parametro della progressività dei tributi (malgrado quella prevista sia una Flat Tax spuria, o una “Dual Tax”).

A scaldarsi in particolar modo di fronte alla riforma fiscale di marca leghista, sono stati gli animi del Partito Democratico e di tutta la sinistra moderata. Un fatto abbastanza prevedibile, tenuto presente l’approccio rigido e forcaiolo che quest’area, fin dai tempi di Berlusconi, ha sempre riservato al dibattito sui tributi e al fenomeno dell’evasione: non che ci sia nulla di male, non fraintendiamoci. Al contrario, la critica opposta alla Flat Tax è assai pertinente, specialmente laddove si evidenzia l’iniquità di una riforma che alleggerisce la pressione fiscale in misura tutt’altro che proporzionale; senza considerare poi l’emorragia di gettito che deriverebbe da un sistema che prevede un’aliquota massima del 20% sulle persone fisiche.

 

I paradisi fiscali interni all’Unione Europea

La sede della Commissione Europea

E’ proprio a tal proposito però, che sorge spontaneo un dilemma. Un arcano che dimostra come quelle che possono sembrare le linee guida di un partito o di una corrente – nella fattispecie, la sensibilità nei confronti del dibattito fiscale – si rivelino essere insospettabilmente elastiche di fronte a quelli che sono i veri totem ideologici e culturali. Per quale motivo questa indignazione e questo marcato giustizialismo verso i “furbetti” (alla Peter Griffin nella rubrica “lo sapete cosa mi fa davvero girare gli ingranaggi?”) non ha mai condotto partiti ed opinionisti vicini al progressismo liberale ad affrontare una delle principali cause di evasione?

Quella a cui ci riferiamo è l’inesistenza di una politica fiscale comune in seno all’Unione Europea, ovverosia uno dei motivi per cui  questa Comunità risulta sempre più fragile di fronte all’evidenza della sua composizione interna, fatta di figli e figliastri. L’esistenza di veri e propri paradisi, unita alla libera circolazione dei capitali e alla possibilità di spostare ovunque la propria sede fiscale, sottrae all’erario una media di oltre 6 miliardi l’anno: una perdita emorragica, di fronte alla quale i rigoristi della giustizia tributaria non hanno mai speso un secondo di fiato. Evidentemente, perché l’unico rigore davvero dogmatico ed insindacabile, è quello rappresentato dalla devozione all’Europa. Un’Europa che amano in modo così viscerale, da voltarsi dall’altra parte persino quando legittima la violazione di uno dei loro comandamenti più sacri.

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Di Filippo Klement

Classe 1990, ha studiato giurisprudenza, a latere un vasto interesse per la storia contemporanea e la politica.

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