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Il falso mito dei dipendenti pubblici

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Politici e media liberali ci hanno spesso abituato a distorcere la realtà, a seconda delle loro esigenze narrative. Con il passare del tempo, una delle categorie più penalizzate da questo racconto è sicuramente stata quella del settore pubblico e dei suoi dipendenti, erroneamente considerati sovrabbondanti.

di Gilberto Trombetta

Come ormai sappiamo, i soldi non crescono sugli alberi, ma si creano dal nulla. Che è anche meglio. E il debito pubblico, per un Paese con la propria Banca Centrale non è un problema. Può essere sempre onorato. Non solo controllando i tassi di interesse per ridurli al minimo – anche a zero – ma anche “sterilizzandolo”. Per esempio mettendone una parte consistente nella “pancia” della propria Banca Centrale che, oltre a rinnovarlo potenzialmente in eterno, potrebbe anche direttamente eliminarlo.

Eppure, per seguire l’obsoleta scuola neoliberale, soprattutto in Italia, si è fatto di tutto per provare a ridurlo. Con l’unico effetto in realtà di farlo aumentare. A farne le spese è stato anche il settore pubblico. Uno dei più sottodimensionati al mondo nonostante la propaganda che da decenni lo dipinge come uno dei più elefantiaci.

Per quanto riguarda il numero di dipendenti pubblici in rapporto al totale dei lavoratori, in testa ci sono i Paesi del Nord Europa: in Norvegia gli statali sono il 30,34% di tutti gli occupati, in Svezia il 28,83%, in Danimarca il 28,02%, in Finlandia il 24,29%. La Francia con il 21,91% è il primo dei Paesi più grandi e supera di poco la piccola Estonia. L’Italia con il 13,43%, è nettamente al di sotto della media Ocse, che è del 17,71%. In Italia, già tra i Paesi col rapporto più basso, si è passati dal 14,5% del 2007 al 13,43% del 2017. Visto che i lavoratori nel loro complesso non sono cresciuti, questo si traduce in un calo netto degli statali: meno 8,1% in 10 anni.

Andando a vedere i dati disaggregati, oltre la metà di dipendenti pubblici (54,6%) è concentrato nell’amministrazione centrale, che comprende, tra gli altri, il personale delle scuole statali e delle forze armate e di sicurezza. Il 19,8% è occupato in aziende o enti del servizio sanitario nazionale, l’11,3% nei Comuni (i quali rappresentano quasi i due terzi delle istituzioni pubbliche). Le altre forme giuridiche assorbono il restante 14,4% di dipendenti.

Guardando poi al numero di dipendenti pubblici rispetto alla popolazione totale, l’Italia è ancora più in fondo alla classifica. Nel 2017 gli statali erano solo il 5,6% del totale della popolazione contro il 16,1% della Norvegia, il 14,5% della Svezia, il 14,2% della Danimarca, l’11,2% della Finlandia. Sopra il 10% anche Canada, Estonia e Lituania. Un altro fattore fondamentale da tenere in conto è l’importanza dei salari nel settore pubblico per tutte le categorie di lavoratori. Sono infatti gli stipendi del settore pubblico a trainare quelli del settore privato.

Dopo una fase di decelerazione che perdurava da nove anni, le retribuzioni economiche sono tornate ad aumentare (+1,5%) nel 2018 perché trainate proprio da quelle del settore pubblico (+2,6%) dopo il blocco contrattuale che, per numerose categorie, si protraeva dal 2010. Un aumento ovviamente largamente insufficiente per recuperare 40 anni di salari stagnanti.

Insomma, guardando i numeri i dipendenti pubblici in Italia sono pochi, troppo pochi. Sono pochi rispetto ai Paesi piccoli e del Nord e sono pochi anche rispetto ad altri grandi Paesi, come la Francia, dove i dipendenti pubblici sulla popolazione sono il 9,1%, e la Spagna, con il 6,4%.In generale vuol dire che in Italia c’è un dipendente pubblico ogni 18 abitanti, mentre a Nord quasi uno ogni 6.

Avremmo buona parte della soluzione alla crisi che stiamo affrontando a portata di mano. Manca però una classe politica con la visione di un’Italia migliore. Manca una classe politica che dia alla popolazione la fiducia di cui ha bisogno per tornare a essere un grande Paese. Uno in cui valga davvero la pena vivere.

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