E’ stato recentemente pubblicato l’ultimo Press Freedom Index da Reporter Senza Frontiere, il quale rivela che la pandemia di Coronavirus ha fortemente leso la libertà di stampa in tutto il mondo.
Secondo i dati riportati da Reporter Senza Frontiere, nel corso del 2020 sono stati arrestati 231 giornalisti professionisti, 155 citizen journalists (giornalisti partecipativi) e oltre 14 fotografi e videomaker: tutti loro dopo essere stati accusati di diffondere disinformazione sulla questione Covid. Molti paesi infatti, hanno approfittato di questa crisi sanitaria per intensificare la repressione nei confronti dei media e imporre misure che, in tempi normali, sarebbero inconcepibili.
Al primo posto tra gli stati più oppressivi troviamo la Nord Corea, dove (stando a quello che si racconta) anche solo leggere notizie provenienti da un media straniero può costare la detenzione nei campi di concentramento. Subito dopo, si posiziona la Cina, paese nel quale un cospicuo numero di giornalisti negli ultimi mesi, dopo aver riportato delle notizie non convergenti con quelle ufficiali diffuse dal governo, sono stati fatti “semplicemente” sparire.
Capitolo Russia e Stati Uniti
In Russia l’interno apparato giornalistico sembra essere totalmente controllato dallo stato, il quale ha avviato una campagna volta a screditare le strategie europee – in particolar modo quelle tedesche – sulla gestione della pandemia. Lo scopo, ovviamente, è quello di dimostrare ai cittadini russi la qualità superiore delle misure varate dall’amministrazione centrale (le quali in realtà non se la stanno passando per niente bene a numeri di contagi e decessi).
In Armenia, vige l’obbligo per i giornalisti di citare nelle proprie testate dati derivanti solo dalle statistiche promulgate dal governo, e così anche in Serbia, dove è diventato noto il caso di una giornalista che il mese scorso è stata arrestata per aver riportato informazioni sulla grave situazione in cui riversano gli ospedali del paese a causa del virus. Negli Stati Uniti, paese a cui è sempre piaciuto ergersi a baluardo della democrazia nel mondo, si sono registrati numerosissimi episodi di diffamazioni e denunce nei confronti dei media che hanno differito con le idee dell’amministrazione Trump, criticandone la gestione dell’epidemia.
Anche all’interno dei confini europei la situazione è critica
Nonostante le zone più pericolose del mondo per i giornalisti continuino ad essere il Medio Oriente e il Nord Africa, Reporter Senza Frontiere ha riportato un calo del punteggio medio dell’Europa nel corso del 2020 (più basso è il valore, più bassa è la posizione nella classifica della libertà di stampa).
Basti pensare al caso dell’Ungheria, dove, dopo la presa di potere di Viktor Orbàn, sono state emanate nuove leggi che permettono al primo ministro di incarcerare giornalisti fino ai cinque anni, con l’accusa di diffusione di quelle che il governo definisce come “notizie non equilibrate”.
La risposta dell’Unione Europea
In tutto ciò, di fronte a questa nuova realtà che evidenzia i rischi a cui sono sottoposti i media in tutto il mondo e le pressioni politiche e sociali che devono affrontare al giorno d’oggi, l’Unione Europea ha deciso di rispondere in una maniera che, a dir poco, risulta ambigua.
La Commissione Europea ha infatti dichiarato di volersi impegnare a favore di una “battaglia per la libertà dell’informazione”, salvo poi affidare la guida di questa missione, all’ungherese Věra Jourová, nominandola responsabile della “coordinazione delle politiche sui valori e sulla trasparenza”.
Avete letto bene: la lotta alla trasparenza e alla libertà sono nelle mani di una politica ungherese, in un momento in cui l’Ungheria si sta trasformando in uno stato a trazione più totalitaria, porgendosi nel mondo, e soprattutto in Europa, come antagonista proprio di quella democrazia e libertà che l’UE tanto vaneggia di voler difendere.