Ricordo la prima sera di lockdown del marzo 2020, per le strade deserte di tutta Italia rimbombava fragoroso l’inno di Mameli e l’intero popolo italiano si stringeva a coorte come mai successo prima negli ultimi cinquant’anni. La sensazione che pervadeva moltissimi era che ce l’avremmo fatta solo restando uniti.
di Antonio Di Siena
Un sentimento di ritrovata unità nazionale manifestatosi difronte a una minaccia sconosciuta che, inevitabilmente, portava con sé anche la fiducia nello Stato, nelle sue istituzioni politiche, scientifiche, sanitarie e militari. Per qualcuno era certamente una fiducia a tempo determinato, rilasciata obtorto collo, ma era comunque un’apertura di credito senza molti precedenti recenti.
Da quel momento gli italiani hanno fatto la loro parte, educatamente e in silenzio. Con grande senso di responsabilità hanno accettato la reclusione, le privazioni, le chiusure, le pesanti ricadute economiche e psicologiche, specialmente per i bambini.

E invece sono arrivate le multe per chi correva in solitaria e chi portava i bambini a giocare su spiagge isolate, la guerra dei click per 600 euro insufficienti per tutti, i ristori farlocchi, le file al banco dei pegni e un ginepraio di leggi e provvedimenti bislacchi, ai limiti del farsesco, dal divieto di mozzarella sulla pizza margherita ai banchi a rotelle.
Ma soprattutto tonnellate di false promesse e un fiume di parole mai veramente pesate a sufficienza. E intanto i rapporti sociali iniziavano a lacerarsi irreparabilmente, mentre la gente continuava a morire. Chi per covid, chi per disperazione, chi per fame.

Il miglioramento del sistema sanitario nazionale, già dimostratosi ampiamente deficitario e incapace di fornire assistenza adeguata a tutti – al punto da mobilitare il sostegno internazionale finanche dalla piccola e povera Cuba – sparisce totalmente dal dibattito.
Il problema non sono più i posti letto che mancano, le strutture chiuse o fatiscenti, l’atavica mancanza di uomini e mezzi, condizioni che obbligano ai “codici blu” che impongono ai sanitari la drammatica scelta di decidere chi salvare e chi lasciar morire.
Il problema diventa solo ed esclusivamente il vaccino, la stessa bacchetta magica che lo stato italiano, legato mani e piedi alle folli politiche europee, non è stato in grado di sviluppare in autonomia costringendolo a ricorrere alla pericolosa dipendenza dai colossi privati della farmaceutica.

Il contratto sociale va in frantumi, tutte le inefficienze, omissioni, dirette responsabilità, mazzette e ruberie vengono di colpo mondate dalla salvifica individuazione dell’unico colpevole: il non vaccinato, l’untore. E come in ogni scenario di decadimento democratico che si rispetti, individuato il nemico interno diventa di colpo lecita qualunque bestialità.
Insulti, accuse, minacce, ricatti vigliacchi, atti di discriminazione, segregazione, privazione dei diritti fondamentali nei confronti di una cospicua minoranza rea semplicemente di non voler sottostare a un obbligo di legge inesistente. In nome di uno stato d’eccezione sapientemente sfruttato e piegato all’interesse di parte viene smantellata la Costituzione e fatto strame dei suoi principi supremi.

È l’alba di un nuovo popolo eletto, forgiato nel fuoco della pandemia, figlio di un moderno destino manifesto che ha proclamato la scienza dio della contemporaneità. Un popolo invincibile che tutto può, talmente potente da farsi nuovo nomos e rivendicare l’insindacabile diritto di decidere della libertà e della vita altrui.
Per la minoranza parassitaria e colpevole di ogni male non c’è più posto. Condannata a morte perché la nuova Italia chiamò. Il popolo che fece grande quella vecchia, che innumerevoli volte l’ha ricostruita e resa florida, invece, non esiste più. Spoliticizzato, fiaccato e disperso ha definitivamente smarrito il ricordo di sé stesso.
Burattinai, finanzieri, speculatori e traditori della Patria possono finalmente proseguire indisturbati la loro opera e governare la loro nuova creatura. Una massa informe e impaurita in grado solamente di obbedire.