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Papa Francesco e l’equivoco valdese

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Nella sua visita nella Diocesi di Torino Papa Francesco, primo pontefice a farlo, è entrato in un tempio valdese, quello di corso Vittorio Emanuele II, accolto dal Pastore di Torino Paolo Ribet. Il capo della Chiesa Valdese di Torino ha rivolto al Pontefice il suo benvenuto chiamandolo fratello. Interessante e degno di adeguata riflessione è quanto ha poi detto Bernardini, il moderatore della Chiesa Valdese rioplatense di Uruguay e Argentina che ha fatto riferimento al muro eretto otto secoli prima quando la Chiesa Valdese venne scomunicata dalla Chiesa Cattolica Romana. Lo stesso Bernardini ha proseguito auspicando di rompere in futuro il tabù che impedisce ai Cattolici e ai Protestanti di vivere l’Eucarestia e la Santa Messa insieme guardando a quello che unisce, ovvero il pane e il vino offerti da Cristo piuttosto che alle interpretazioni umane che non fanno parte del Vangelo.

Papa Francesco, da parte sua, ha risposto chiedendo il perdono dei comportamenti non cristiani e anzi non umani che la Chiesa Cattolica avrebbe avuto in passato nei confronti della comunità valdese. La cerimonia ha vissuto poi il suo momento più solenne con la recita in comune del Padre Nostro. Fin qui la pura cronaca, una cronaca che non contraddice ma anzi rafforza la politica ecumenica fin qui condotta dal Santo Padre. Ma da parte nostra non possono non sorgere a questo punto dubbi sacrosanti alimentati proprio da quella storia così apertamente “sbandierata” e citata nell’incontro di ieri. I Valdesi da sempre lamentano con forza il fatto di essere stati oggetto da parte della Chiesa di un trattamento ingiusto se non addirittura disumano. Trattamento che si è concretizzato nella scomunica di tutto il movimento e in alcuni episodi persecutori nei confronti dei suoi adepti.

E’ doveroso ricordare, al di là dei sentimenti di parte, quello che successe nella realtà dei fatti a partire più o meno dal tredicesimo secolo. I Valdesi continuano a lamentare la scomunica allora subita dimenticando la cosa più importante e cioè che furono loro, a partire dal loro fondatore Pietro Valdo da Lione, a scavare un irrecuperabile fossato tra il neonato movimento e la Chiesa di Roma. Furono i Valdesi ad accusare per primi i pontefici, e con loro tutte le istituzioni ecclesiastiche, di essere eretici e apostati, di pretendere un’obbedienza non dovuta, di dare sacramenti non validi e di condurre una vita in aperto contrasto con il Vangelo. Furono sempre loro a dichiarare ereticamente che tra l’uomo e Dio non ci doveva essere alcuna istituzione e furono sempre loro a non riconoscere validità alla Comunione dei Santi e quindi alla possibilità di pregare per i defunti con la conseguenza di non credere neppure all’esistenza del Purgatorio.

Differenze e accuse non da poco che avrebbero portato gli stessi Valdesi a chiamarsi inevitabilmente e, sottolineiamo, volontariamente fuori dalla Chiesa. Furono infine loro a rifiutare la loro venerazione e il loro amore nei confronti della Madre di Dio, vera e propria Arca dell’Alleanza via per Cristo per i fedeli della  Chiesa Cristiana Cattolica ma anche di quella Ortodossa. Non bastò una prima condanna da parte del Concilio di Trento e i successivi richiami all’ordine da parte dell’Arcivescovo di Lione e di Papa Alessandro III. Alla fine arrivò puntuale e inevitabile anche la necessaria scomunica e, in seguito all’acuirsi dei contrasti, anche gli episodi, questi sì condannabili, di persecuzione nei confronti di alcuni adepti. Il problema, anzi a questo punto il grande equivoco è che, se per un verso si pretendono e si ottengono le scuse da parte del grande e odiato nemico di un tempo ovvero della Chiesa Cattolica, dall’altro nessun valdese si è mai sognato di chiedere a sua volta perdono per aver a suo tempo insultato, umiliato e gettato fango sulla Chiesa di Cristo minandone e mettendo a repentaglio l’unità voluta da Dio.

Come si faccia a parlare di speranza e volontà di vivere l’Eucarestia insieme se a quella stessa Eucarestia ci si accosta con una visione diametralmente opposta, al di là dei pur buoni propositi, non è dato saperlo. Ben differente, ricordiamo, fu l’atteggiamento di un San Francesco, anche lui, come Pietro Valdo, propugnatore di un ritorno ad una vita più genuinamente evangelica, distaccata dai beni materiali e totalmente slegata dai canoni ipocriti della vita sociale di allora come di oggi. Ma, a differenza di Pietro Valdo e di quelli che lo seguirono, lui non insultò la Chiesa Romana, non disprezzò quello che questa propugnava e non tolse credibilità ai Sacramenti che della fede in Cristo sono il necessario e insopprimibile corollario: egli andò in tutta umiltà e obbedienza ad inginocchiarsi davanti a Papa Innocenzo III mettendo sé stesso nelle mani e a disposizione dell’unica vera Chiesa di Cristo.  E questo Papa Bergoglio, che di quel santo si è fatto testimone, dovrebbe saperlo.

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Di Roberto Crudelini

Nato nel 1957. Laureato in Giurisprudenza, ha collaborato con Radio Blu Sat 2000 come autore e sceneggiatore dei Giornali Radio Storici, ha pubblicato "Figli di una lupa minore" con Rubettino, "Veni, vidi, vici" e "Buona notte ai senatori" con Europa Edizioni e "Dai fasti dell' impero all'impero nefasto" con CET: Casa Editrice Torinese. Collabora con Elzeviro.eu fin dalla sua fondazione, nel 2011.

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