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Willy, ucciso da una società che ha distrutto l’ideale di uomo guerriero

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Come si può commentare un fatto di cronaca già passato sotto i riflettori di tutti i principali media senza scadere nella vuota retorica post mortem?

di Gabriele Tebaldi

Forse occorre proprio andare al di là del sentire comune e osare intraprendere una via interpretativa alternativa, che possa non già dare una risposta ad un fatto di sangue insensato, ma perlomeno scavarne le cause profonde e più recondite.

Usciamo quindi da questo ritratto fiabesco costruito dalla narrazione mediatica quotidiana che ha descritto l’omicidio di Willy come un fulmine a ciel sereno, qualcosa che ha scosso una realtà che, senza questa breve nera parentesi, sarebbe stata invece perfetta ed inappuntabile.

Il fatto che dei truzzi palestrati e tatuati

che trascorrono le loro giornate tra allenamenti in palestra e selfie da duri, abbiano picchiato a morte un ragazzo innocuo in netta superiorità numerica può testimoniare una cosa sola: ovvero che non esiste più l’ideale di uomo guerriero. Certo si può facilmente eludere questa cervellotica risposta dicendo che si tratta di semplici zotici vigliacchi, di bestie analfabete. Tutto vero, per carità.

Eppure queste risposte non sono sufficienti per comprendere quanto successo se pensiamo che fuori da casa nostra esiste un esercito di queste marionette con le sopracciglia depilate pronti a scimmiottare gli usi e i costumi dei peggiori gangster. Torniamo quindi al punto di prima: bisogna prendere atto che la nostra società ha deliberatamente ucciso l’ideale di uomo guerriero. E così un’intera massa di subumani è stata lasciata senza un forte modello maschile, se non l’imitazione mal riuscita di un Fabrizio Corona palestrato.

Ma chi è l’uomo guerriero?

L’uomo guerriero è quel modello presente nel sentire comune di tutti i popoli della terra fin dall’alba dei tempi più remoti. E’ sufficiente sfogliare qualche pagina di mitologia greca per accorgersi che nella società di allora i pochi zotici che tentavano di alzare la testa e fare danni nella società venivano presi a sonore e legittime mazzate dall’uomo guerriero di turno.

Sono innumerevoli gli episodi dove un personaggio grande, grosso e scemo tenta di violentare una donna, oppure tenta di uccidere ingiustificatamente qualcuno, ma viene fermato in tempo dall’eroe positivo di turno. Ulisse contro Polifemo, Teseo e il Minotauro sono solo alcuni esempi di come un tempo la società avesse imparato a soffocare la forza bruta beluina con un giusto contrapposto di altrettanta forza abbinata ad intelligenza e coraggio.

Questo contrappeso oggi non esiste più. Non esiste più perché la società contemporanea ha demonizzato il concetto di lotta, dequalificandolo quindi ad un semplice istinto primordiale non adatto invece al bon ton del nuovo uomo, non più guerriero, ma consumatore.

“Non v’è più bellezza se non nella lotta” scriveva Marinetti

nell’immortale manifesto del Futurismo e ne aveva ben ragione, tant’è che le serate futuriste finivano il più delle volte con qualche sana scazzottata. Senza mai però provocare morti innocenti. Insomma la società occidentale di oggi non tollerando più il confronto fisico tra le persone, anche quello regolamentato dalla legge (come il duello) ha distrutto una figura, quella dell’uomo guerriero, che era tuttavia baluardo del quieto vivere.

Anche la guerra, massima espressione del conflitto tra uomini, ha seguito lo stesso andamento. Demonizzata dalla società, salvo poi assecondarla nella sua evoluzione più disumana: ovvero la guerra tecnologica. Bombe telecomandate da migliaia di chilometri di distanza in grado di far piazza pulita di interi quartieri e città. Eserciti senza più soldati che si scontrano unicamente sul piano delle attrezzature più all’avanguardia. La guerra non è più cosa per nobili, ma per macchine e le macchine sono spietate nella loro diligenza di essere violente. Proprio come gli assassinii di Willy.

E così la società ha tolto agli intellettuali il piacere della lotta

l’adrenalina del duello e della guerra, trasformandoli in una schiera di uomini “castrati”, incapaci di esercitare un fascino, di rappresentare un modello per la società. E la lotta si è cosi trasformata in violenza pura e cieca ad appannaggio esclusivo dei reietti della società, quelli che un tempo facevano da semplici stallieri ai nobili che, per l’appunto, combattevano.

Purtroppo sembra non esserci rimedio a questo delirio ideologico che ha annientato valori ancestrali quali il coraggio, l’onore e la dignità, per sostituirli con sensi più funzionali alle leggi di mercato: opportunismo, individualismo e edonismo. E quindi che fare? Aspettare passivamente che il treno del “progresso” (definito “sempre positivo” anche dal nostro Presidente della Repubblica) riesca a creare altri mostri come gli assassinii di WIlly? Oppure continuare a creare delle sacche di resistenza ad oltranza contro l’omologazione, contra la riduzione dell’immagine di uomo a mera funzione aggregata di domanda di consumo: palestrato e scemo oppure intellettuale che vive nella paura di perdere i suoi privilegi.

 

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