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Perché la commissione contro l’odio è figlia di isterismi e superficialità

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La politica contro l’odio e l’odio contro la politica. Una farsa moralistica

di Paolo Desogus

È da qualche giorno che desidero scrivere qualche parola sulla commissione contro l’odio istituita dal Parlamento. Ho tuttavia indugiato perché questo organo è in qualche modo figlio di molti alcuni atteggiamenti fatti propri non solo dalla politica, ma da quella realtà di semi attivisti, pensatori del web, intellettuali semi politicizzati che popolano il discorso pubblico italiano.

Mi riferisco a quegli atteggiamenti molto diffusi in quella parte di paese che si definisce di sinistra, gli stessi che hanno portato a una regressione della politica a dato emozionale, sbrigativo, irriflessivo e talora isterico.

La commissione contro l’odio è infatti figlia della politica vissuta come auto rappresentazione del proprio sé, ovvero come costruzione “risolta e positiva” della propria immagine pubblica alla luce del flusso degli eventi, scientemente trascelti dai principali organi di informazione.

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La senatrice a vita Liliana Segre, scampata ai campi di concentramento nazisti, è stata la promotrice della commissione contro l’odio.

Questa commissione

nasce insomma con la pratica di fotografarsi con la maglietta rossa o con la mano sulla bocca per protestare contro qualcosa (e a proposito le famose armi chimiche di Assad erano una bufala americana).

Nasce dall’isteria intorno ai fenomeni di Carola o di Greta, due personalità il cui messaggio politico conta molto poco, forse nulla, dal momento che la loro fortuna risiede nell’essere trasformate in stemma da esibire per marcare un’appartenenza a un dato gruppo mediatico.

Nasce dal bisogno di riflettere la propria immagine in un palcoscenico pubblico di fantasia allestito dai social network, in cui si recita la farsa moralistica dei buoni progressisti, ecologisti, no border contro i cattivi, rosso bruni e sovranisti, se va male, o facinorosi fascisti, nel peggiore dei casi.

Si tratta in altri termini dell’ultimo ritrovato dell’antipolitica praticato dai ceti cognitivi ostili alla politica organizzata, alla rappresentanza, alla mediazione, alla fatica del lavoro politico per strappare quartiere dopo quartiere i ceti popolari alla destra.

La politica contro l’odio nasconde in realtà l’odio verso la politica, verso un’arte irriducibilmente riflessiva, realistica, che richiede inevitabilmente la costruzione di gerarchie di partito e di apparati e che soprattutto non ammette atteggiamenti irresponsabili e moralistici.

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