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Il “country first!” ha il volto di Piero Fassino

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Se fossi torinese, domenica avrei votato (è già questa è una scelta in quest’epoca di strutturale “fuga dal voto”) concentrandomi sulla preferenza per il Consiglio Comunale. Avrei optato per un cattolico-popolare (e facilmente l’avrei dovuto scovare nello schieramento fassiniano, anche per avere la possibilità di vederlo realmente in Sala Rossa). Per il sindaco, praticando quindi il voto disgiunto, avrei tirato a sorte tra uno dei candidati di centro-destra oppure concesso un consenso di simpatia all’alfiere del Popolo della Famiglia (simpatia per il tentativo politico).
Il ballottaggio – e scientemente – sarebbe stato, in minima parte, anche colpa mia.

Se fossi torinese, oggi dovrei riflettere su quale dei due concorrenti al ballottaggio scegliere tra Piero Fassino e Chiara Appendino. Non avendo mai ridotto (per il rispetto che si deve al momento elettorale) il voto a una faccenda contro, non mi fermerei sul chi non voglio. Mediterei, al contrario, su quale candidato mi rassicura per competenza e per spazi di libertà che può concedere (o che gli si possono strappare nella contingenza, anche per il peso specifico che si può rivendicare) del voto alle ragioni ideali che mi muovono e ai valori che ne conseguono. Sul “male minore”; se vogliamo, ma non con rassegnazione.

Se fossi torinese, ma posso farlo anche da fuori della cinta daziaria, prenderei atto che l’ipotetica maggioranza di Fassino avrebbe al proprio interno (con qualche punta di rosso e di arcobaleno non proprio digeribilissima) tante valide persone da cui mi separa davvero poco: cattolici-popolari, riformatori e riformisti, persino qualche schietto liberale. Della truppa di consiglieri grillini so poco, e ho la triste sensazione che sia meglio non saperne.

Perché l’elezione del sindaco di Torino mi interessi, per altro, non è necessario essere torinese. E non sto straparlando di scenari laboratori e riflessi nazionali (roba buona per i politologi), ma del fatto che chi vincerà guiderà la Città Metropolitana, cioè avrà un ruolo nella governance dell’ex-Provincia. Con la riforma, infatti, il sindaco della Città capoluogo è anche automaticamente l’equivalente di quello che era il Presidente della Provincia.

Allora, anche dal pagus, mi permetto queste considerazioni. E una (non richiesta) dichiarazione di voto. Per Piero Fassino, con il naso montanellianamente turato. Ma convinta.

Nell’area del centrodestra trasformatasi nella suburra del “Tutto Tranne Renzi”, fino al punto di mobilitarsi per il sì al recente referendum da reazionari verdi per dire, in molti stanno invitando a dare un “voto di cambiamento” all’esponente pentastellata. A me pare l’equivalente elettorale del marito che si evira per punire la moglie del tradimento!

Voglio, con ciò, dire che non esiste un pernicioso “Sistema Torino”? No, certo. Solo ho l’impressione che abbia tremato abbastanza per questo non gradito esame di riparazione elettorale ed esprimere (e rivendicare) un “voto realista” per Fassino consenta di conquistare uno spazio effettivo per certe istanze e per una visione del mondo (la nostra, che non si è mai ridotta alla mera reattività).

Voglio, con ciò, attestarmi sulla narrazione della necessità del renzismo? Manco per sogno, sono pronto a fare la mia per veder vincere il No al referendum costituzionale di ottobre.

Voglio, infine, teorizzare che non c’è altra via che la “grande coalizione permanente”, magari a fosche tinte tecnocratiche? No, affatto. Anzi, noto che la selezione della giunta, i populisti grillini, l’hanno fatta con i criteri più tecnocratici che ci fossero (e anche lisciando il pelo a certo poteri della Città; confermando, se ancora ce ne fosse bisogno, che l’Appendino è chiaramente il volto antisistema del Sistema stesso).

La politica, insomma, si fa nelle condizioni date. Quando si è una minoranza bisogna cercare di esserlo creativamente, trovare agibilità per una posizione che si sa utile al “bene comune”. Anche se questo consistesse nel dover dire “piuttosto che niente, meglio Fassino”. Abbastanza attrezzato in fatto di politica, per meritarsi il titolo di cittadini bisognerebbe industriarsi di esserlo tutti almeno un po’, credo che il cambiamento non ha per forza bisogno dell’alternanza e di nuovi governanti (ricordate “Il Gattopardo”?).

Per essere leali e conseguenti con il “country firt!”, questa volta, toccherebbe votare Fassino. Se fossi torinese.

Marco Margrita
@mc_margrita

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Di Redazione Elzeviro.eu

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