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Guardate la luna, non il dito Volkswagen

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Ilsimplicissimus ci offre una visione più globale del gettare la croce addosso ad un’industria, naturalmente colpevole, ma rotella di un meccanismo dell’economia liberista.

Bisogna cominciare a guardare la luna e non il dito che la indica: la vicenda Volkswagen più che i trucchi sulle emissioni denuncia quelli messi in atto da una governance che da una parte finge attenzione e cura per l’ambiente per accreditarsi come responsabile, dall’altra strizza gli occhi ai potentati dell’auto in crisi di sovrapproduzione, inventando meccanismi di riduzione progressiva fatti apposta per essere di stimolo alle vendite e facilmente aggirabili. Una ipocrisia globale ben conosciuta, ma che è stata “denunciata” solo grazie a una guerra fra multinazionali per mercati meno brillanti del passato e per giunta, almeno negli Usa, sempre più aggredito dalle vendite subprime.

L’Icct, l’organizzazione indipendente che più di un anno fa ha scoperto lo stratagemma di Vw per far apparire le emissioni sempre dentro i limiti e che poi stranamente non ha provato altri tipi di auto, ora sostiene che nel mercato automobilistico il gap tra i valori ufficiali e la realtà è andato crescendo dall’8% del 2001 al 40% del 2014 il che in pratica riduce i progressi reali a poco più di zero: un peccato che l’Icct non lo abbia detto prima e che si sia dedicata a sputtanare soltanto la casa di Wolfsburg. Ma non c’è bisogno di alcuna prova ufficiale per capire che il meccanismo è truccato in sé: com’è possibile pretendere che un Suv da due tonnellate e con al minimo 200 cavalli abbia emissioni pari a quelli un’utilitaria? E’ tecnicamente impossibile, ma lo si è fatta diventare una realtà ufficiale in quasi tutti i Paesi attraverso prove di omologazione che consistono in venti minuti sui rulli: per 780 secondi viene misurato il consumo nel percorso urbano, per 400 secondi quello di un viaggio extraurbano, per un tempo massimo di 10 secondi, infine, si raggiunge la velocità di 120 chilometri orari, nemmeno il massimo stabilito dal codice in numerosi Paesi. E tutto con modelli prepararti ad hoc. Praticamente una barzelletta che rischia di rimanere tale anche quando dall’anno prossimo le prove saranno su strada: anche in questo caso si tratta di prove standardizzate nelle quali possono essere usati carburanti speciali, possono essere eliminati i servizi di  bordo (il condizionatore per esempio), adottati pneumatici particolari e mappature del motore diverse da quelle di serie.

Cosa significa tutto questo? Che si voleva tutelare l’ambiente con i fichi secchi, che il modello ipermercatista che si è affermato negli ultimi trent’anni, l’economia basata esclusivamente su un consumo matto e disperatissimo di ogni tipo e genere, è un produttore intrinseco di inquinamento e che le pezze a colore messe qui e là servono pochissimo in termini generali. Per ottenere una reale diminuzione di inquinamento, almeno nelle città, in attesa di sviluppi tecnologici realmente innovativi, non sarebbe meglio  investire in servizi pubblici decenti, sistemi, logistiche urbane e strutture in grado di favorire un uso più limitato dell’auto? E proporre tassazioni progressive e punitive nei confronti di motorizzazioni inutilmente potenti per le condizioni e le norme del traffico, piuttosto che imporre regole puramente teoriche che costringono al rinnovo del mercato quando sappiamo che la co2 complessivamente sprigionata per produrre un’auto è praticamente pari a quella che la stessa vettura emetterà nella sua vita media?

La risposta è , sarebbe sensato, anche perché sarebbe l’unico modo per costringere i grandi tycoon dell’auto a investire in nuove tecnologie invece di fare melina mettendo toppe alle vecchie, ma è anche impossibile. In primo luogo perché questo colpirebbe non soltanto l’immaginario dell’auto, ma i costruttori che proprio sui modelli più potenti  realizzano il maggior valore aggiunto, farebbe insomma calare vendite e profitti, diminuire l’appeal di un settore. Ma più in generale è impossibile nel contesto liberista perché richiederebbe tra le altre cose più stato e più investimenti pubblici, più programmazione e punizione fiscale del sovraconsumo: esattamente ciò che le governance occidentali considerano come fumo negli occhi in quanto sistema regolatore che si pone come contraltare a quello di mercato. Per questo tutte le funzioni sono ormai surrogate da una burocrazia stupidamente tecnocratica, non eletta, in balia delle lobby, la stessa che ha prodotto il sistema dei limiti progressivi, di fatto asseverati e controllati dagli stessi costruttori. La Volkswagen non ha fatto che venire incontro ai propri clienti inserendo un software che evita messe a punto più artigianali in vista delle revisioni. Nella logica rovesciata che ci è stata imposta era un gadget, non una truffa tanto che sembra non sia la sola ad averlo adottato.

Alla fine non succederà nulla di importante per i cittadini e l’ambiente: l’industria Usa si libererà di un concorrente temibile sul proprio territorio e darà più spazio alle sue controllate europee, Opel e Fiat che hanno esattamente le stesse magagne se non maggiori e tutto continuerà come prima. Più di prima.

| tratto dal blog ilsimplicissimus |

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Di Redazione Elzeviro.eu

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