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Il tifoso italiota medio ha ucciso il calcio

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Il calcio è lo sport dei poteri forti, tutti lo sanno e quasi sornionamente se ne dimenticano ogni domenica per rendere ancora onore a quell’imprevedibilità del risultato che però di fronte a certi episodi tende a vacillare.

In uno sport in cui d’altronde negli ultimi venticinque anni si sono decuplicati gli investimenti, dagli sponsor sulle magliette, ai diritti televisivi, passando per le società quotate in borsa, non ci si poteva che aspettare una rincorsa da parte dei più potenti ad accaparrarsi e poi spartirsi l’enorme torta venutasi a creare, distruggendo però così la credibilità di questo stesso sport.

Tuttavia una tale spirale perversa non è stata innescata unicamente dalla volontà di potenza di certe famiglie dal tratto quasi feudale (si vedano gli Agnelli, i Moratti e ormai anche i Berlusconi sono entrati nel gioco), ma dall’imbecille mentalità che purtroppo attanaglia la maggioranza degli italiani.

Il riferimento non può che andare alla volontà dell’italiota di salire non appena può sul carro dei vincitori, ovvero quella scarsa propensione ad investire del tempo per un lento processo di crescita, in luogo di un’immediata quanto facile soddisfazione. Tale ragionamento, che pervade la penisola in ogni ambito, trova nel calcio una delle sue massime espressioni, dato che è riuscito a distruggere tradizioni, storie e prospettive di molti club calcistici italiani.

La Juventus, società sportiva di Torino, vanta un bacino d’utenza di oltre 10.000.000 di tifosi, quando la sua città di nascita non arriva neanche a lambire un milione d’abitanti; il Milan e l’Inter messe insieme arrivano alla stessa cifra dei bianconeri, e anche qua ci ritroviamo di fronte al paradosso di una città, Milano, che arriva appena a due milioni di anime. La maggioranza dei tifosi di questi club, che rappresentano quel circolo di potere di cui sopra, non è probabilmente mai vissuta nella città d’appartenenza del proprio team.

Se allargassimo i nostri orizzonti noteremo che all’estero, per esempio in Germania, la situazione è ben diversa: a Berlino, nonostante la supremazia attuale del Bayern Monaco, non si tifa la squadra della Baviera, bensì l’Herta Berlino (attualmente nella serie B tedesca) o il Bfc Germania 1888 (addirittura in Kreisliga). La stessa cosa si può osservare in Inghilterra, così come in Spagna, dove nessun basco si sognerebbe mai di simpatizzare per le squadre della capitale o ancor peggio per il Barcellona.

In Italia, nonostante le distanze geografiche abbiano creato come nelle altre nazioni divergenze e spesso scontri (si pensi alle tensioni durante le migrazioni da Sud a Nord nel Secondo dopo guerra), ha prevalso la voglia di vincere facile, forse uno dei pochi tratti comuni che la nostra terra si è portata come retaggio ormai millenario.

Peccato perché piazze come Palermo, Reggio Calabria o anche le più nordiche Pisa e Venezia, con un seguito di tifosi per lo meno proporzionale al numero di abitanti, avrebbero la possibilità di dire la loro nel calcio che conta, riequilibrando così un campionato che dal 2001 vede vittoriose, guarda caso, sempre e solo le tre solite squadre: Juventus, Inter e Milan.

Solo i tifosi possono far tornare la caratteristica peculiare ed unica del calcio, ormai andata in disuso, ovvero l’imprevedibilità.

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Di Redazione Elzeviro.eu

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