A chi le domandava se fosse felice, rispondeva ” Persone come me, che sono scampate ad una morte tanto violenta, hanno il dovere di esserlo”.
Dei quarantasette anni vissuti, Donatella Colasanti ne ha spesi trenta alla ricerca di verità e giustizia.
Quando si è spenta, in un ospedale romano nel 2005, le sue ultime parole sono state “Battiamoci per la verità”.
Donatella Colasanti, come molti di noi ricordano, fu protagonista, anzi, vittima, insieme a Maria Rosaria Lopez di uno dei più efferati delitti dell?Italia del dopoguerra passato alla storia con il nome de “Il Massacro del Circeo“.
Donatella e Maria Rosaria provenivano da famiglie ed ambienti modesti. I loro aguzzini, Ghira, Guido e Izzo, erano nati e cresciuti nei quartieri “bene” della capitale. Appartenevano a famiglie dell?alta borghesia dove soldi e cultura marciavano di pari passo. Frequentavano prestigiosi licei romani, vestivano alla moda, ascoltavano musica classica. Il loro aspetto non tradiva un passato di violenza e disagio: Ghira ed Izzo erano stati condannati a venti mesi di carcere per rapina a mano armata nel 1973.
Il gruppo di giovani si conosce al bar de “Il Fungo”, noto ristorante sito all?Eur, quartiere a sud di Roma.
Il lunedì successivo all?incontro, Izzo, Ghira e Guido decidono di invitare le due ragazze nella villa di Ghira, a San Felice Circeo, la spiaggia della Roma “per bene”.
L?incubo inizia il 29 settembre di trentotto anni fa e dura quasi 36 ore. Donatella Colasanti e Maria Rosaria Lopez vengono minacciate, denudate dei loro averi (inclusi i documenti), rinchiuse in un bagno cieco. Seviziate, picchiate, violentate, drogate. Maria Rosaria muore, annegata, nella vasca da bagno.
Donatella, invece, resiste, non si piega. Uno dei suoi torturatori, dopo aver cercato di strozzarla con una cinghia, esclama stizzito “Questa non vuole proprio morire”. E, lucida e forte nel terrore, che la ragazza, appena diciassettenne, capisce che è la morte la sua salvezza. Come un animale braccato, si finge morta. Immobile mentre ancora la colpiscono con una sbarra di ferro, non respira, tiene per sé la paura ed il terrore, soffoca le urla ed il pianto. E? morta Donatella, così sembra ai tre pariolini.
Coperte e cerate servono per avvolgere i loro corpi buttati nel bagagliaio di una 127 che riporta la banda a Roma. Ma Ghira, Izzo e Guido hanno fame; così, decidono di lasciare l?auto a Via Pola e da lì si avviano a piedi al ristorante. Non sanno che Donatella è viva, ha ancora aria nei polmoni. Abbracciata a Rosaria, ormai esanime, inizia a gemere e attira l?attenzione di un metronotte in servizio. Sono le 22.50 del 1 ottobre.
Il nucleo dei Carabinieri accorre sul posto e, sgomento, si ritrova di fronte ad una scena terrificante: Donatella, coperta di sangue, farfuglia, piange, chiede aiuto. Viene portata all?ospedale più vicino, medicata, curata. Le fratture dell?anima e del cuore, quelle non si rimarginano.
Il processo si svolgerà un anno più tardi. Per la prima volta, le associazioni femministe si costituiranno parte civile. Izzo e Guido vengono condannati all?ergastolo. Ghira, invece, è scappato. Forse in Spagna, dove si è arruolato nella Legione Straniera. E? qui che morirà, come sembra, nel 1995. Ma Donatella non ci crede. E scrive, scrive lettere. “Se ce ne sarà bisogno, mi rivolgerò al Tribunale Internazionale dell?Aja” dice.
Donatella non perde un?udienza del processo. E? il suo momento, quello in cui ricostruisce con lucidità il suo incubo e quello di Maria Rosaria. Non si fa intimidire dagli avvocati della controparte, non cade nelle provocazioni. Descrive, minuto per minuto, quelle 36 ore che porterà con sé sino all?ultimo dei suoi giorni. Viene difesa da una donna, l?avvocato Tina Lagostena Bassi, una leonessa milanese che da sempre si batte per tutelare il sesso femminile. Oltre mille pagine di istruttoria per ricostruire un delitto ignobile, la follia di tre giovani “per bene” contro la semplicità di due ragazze modeste. Una lotta fra censi, qualcuno disse. Femminicidio, si direbbe oggi.
L?avvocato Lagostena Bassi sosteneva che Maria Rosaria Lopez fosse stata più fortunata “E? morta quasi subito” affermò. Si era affezionata a Donatella e anche dopo il processo aveva continuato ad informarsi sulla sua salute.
Il destino non è stato clemente con Donatella; le ha mandato un tumore al seno che se l?è divorata.
Non si è mai sposata, non ha avuto figli, Donatella; ha continuato a vivere nella casa dell?Eur dove era cresciuta. Cercava la verità e la giustizia, l?ha cercata sino alla fine.
Nell?ultimo momento, quello in cui si sta per lasciare la vita terrena, ancora una volta il suo pensiero è volato all?incubo vissuto anni e anni prima “Battiamoci per la verità”.
Che Donatella riposi, finalmente, in pace.
di Ilaria Riggio Lopane