Non ho mai avuto una grande opinione di Zingaretti. Tra i segretari del Pd è sicuramente il più debole, e non solo sul piano culturale e politico, ma anche su quello psicologico.
di Paolo Desogus
Dietro quella faccia da uomo medio si nasconde infatti un uomo fragile, privo di riferimenti, senza uno straccio di ideale.
La lettera scritta a Repubblica è semplicemente sconcertante tanto è tediosa. Non dice sostanzialmente nulla.
Anche sul mero piano stilistico la sua prosa è piatta: un ron ron dolente, stanco, lagnoso.
Persino le parole d’ordine dell’establishment
come “sovranismo” e “populismo”, dette da lui assumono un tono vacuo, penoso e allo stesso tempo respingente. Nessuno prova empatia quando lui parla. Non suscita emozioni. Non suscita rabbia. Non suscita niente se non noia e desolazione.
Zingaretti è l’uomo della Fiat Duna uscito da qualche telefilm tedesco degli anni Ottanta, quelli in cui la fotografia vira al giallo ocra e i personaggi sono tutti di mezz’età. Compare, scompare, con lui non succede mai niente.
Non ha un amico, un collaboratore sincero che possa dargli un consiglio, che possa suggerirgli una rispolverata?