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Detenuto rumeno si suicida in carcere, alcuni agenti esultano online

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Il dipartimento amministrazione penitenziaria ha aperto un’inchiesta dopo alcuni commenti truculenti apparsi sulla pagina Facebook di un sindacato e provenienti da profili di Agenti di Polizia penitenziaria.


Vi sono due profili a nostro avviso da tenere in considerazione: da un lato la impunibilità di ciò che si scrive su Facebook finché qualcuno non decide di montarne ad arte un caso, dall’altra parte, l’acredine di un popolo, l’italiano, contro un altro, il rumeno.

A seguito del suicidio di Ioan Gabriel Barbuta, trentanovenne rumeno uccisosi nel carcere di Opera (MI), alcuni agenti hanno scritto sulla pagina di un sindacato della Penitenziaria frasi pesanti e truci come: “meno uno”, “un rumeno in meno”.

Il cittadino rumeno era stato, nel giugno 2013, condannato alla pena dell’ergastolo per l’omicidio di un vicino di casa; omicidio avvenuto nel 2007. La Corte di Cassazione ha ribaldato il giudizio assolutorio di primo grado e la successiva conferma di assoluzione della Corte d’Appello. Barbuta, che frattanto era tornato in Romania, è stato ricondotto nelle patrie galere per scontare la sua pena. Dopo nemmeno due anni di detenzione, però, ha deciso di farla finita. 

E’ sulla pagina Facebook del sindacato Aslippe che traspare qualche commento della cifra di quelli di cui sopra. Il fatto in sé non vuol dire, sembra ovvio, che gli agenti siano davvero felici per la morte del detenuto: per chi scrive bisogna sicuramente riprovare, e magari sanzionare con un giorno di stipendio chi ha esecrabilmente proferito online certe trucidezze, ma bisogna guardare la situazione nell’insieme. L’agente di polizia penitenziaria è uno dei lavori più stressanti che si possano concepire, e chi ha a che fare con questi individui, una volta tolti dalla circolazione, sono proprio gli Agenti di Polizia penitenziaria.

Questi funzionari, dopo diverse ore di professionalità negli istituti correttivi, spesso lavorando per turni massacranti e anche notturni, capita che si rilassino a casa e, cadute le difese della imperitura tensione della professione loro, sbottino sul social network. E’ umano: non c’è da mettere in croce nessuno, ma piuttosto sarebbe necessario sensibilizzare sull’utilizzo corretto del social network, per far capire come tale strumento sia come una pubblica piazza in certi luoghi virtuali dello stesso sito.

Ecco perché, in particolare le persone di una certa età, devono esserne parsimoniose nell’utilizzo o imparare come postare in sicurezza senza avere timore di essere giudicati per una stupidaggine (più o meno grave) detta tra amici o colleghi, con tutte le conseguenze. Il Dap, il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, ha aperto un’inchiesta interna. Chi esercita la professione di agente di polizia penitenziaria ha scelto di lavorare con i detenuti, e non di dimenticarsene dopo la condanna come fanno molti altri, colleghi giornalisti in primis, che oggi si scandalizzano per queste poco consone parole.

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Di Redazione Elzeviro.eu

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