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Il progetto democratico in Etiopia fallisce con il massacro ordinato dal premio Nobel Abiy Ahmed

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Nella regione del Tigré in Etiopia sono stati massacrati e uccisi centinaia di civili sotto ordine del Abiy Ahmed, a distanza di un anno dal suo premio Nobel per la pace.

Il sistema che regola il continente africano è complesso e difficile da comprendere. È difficile comprendere anche un primo ministro che ordina un’offensiva militare per sopprimere le aspirazioni indipendentiste di un popolo, a colpi di macete. Il 4 novembre il primo ministro etiope e premio Nobel Abiy Ahmed,  ha ordinato un’offensiva militare contro la polizia speciale e milizie locali alleate con il Fronte popolare di liberazione del Tigrè. L’entità del massacro è ancora incerta a causa delle pochissime e frammentarie notizie che si riescono a reperire, essendo la regione completamente tagliata fuori dal punto di vista della comunicazione. Stando alle fonti di Amnesty International sarebbero centinaia i civili che nella notte tra il 9 e il 10 novembre sono stati accoltellati a morte.

Dal premio Nobel alla repressione violenta

Quando Abiy Ahmed è arrivato a governare il paese aveva intrapreso un processo di riforme per la democratizzazione dello stato, aveva liberalizzato l’economia e trovato un accordo di pace con la confinante Eritrea. Il quadro generale di un paese governato da sempre da un autoritarismo violento e dai conflitti etnici si presenta senza alcun dubbio difficile da coordinare. Ma ad un anno dalla vittoria del Nobel, Ahmed sembra aver fallito negli intenti di riforma, negli accordi di pace con l’Eritrea e ora sembra aver adottato la stessa identica linea autoritaria e violenta dei suoi predecessori.

Progetto (autoritariamente) democratico

Da questa estate erano ripresi gli scontri etnici e le rivolte, più di 200 persone sono morte e altrettante arrestate, comprese alcune figure istituzionali appartenenti all’opposizione di Ahmed. Come se non bastasse il governo ha cercato di chiudere e isolare il paese attraverso l’uso di sistemi per bloccare la connessione internet in quasi tutto il paese e, tuttora, i giornalisti non entrano nel paese e le informazioni non arrivano o sono lacunose. Secondo il rapporto dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati solo dall’11 novembre sarebbero 7.000 i cittadini che hanno deciso di lasciare il paese e rifugiarsi in Sudan.

Il proposito di Ahmed di trasformare l’Etiopia in una democrazia sta fallendo stando al conto delle vittime sacrificate per questo progetto e per la situazione in cui versa il paese, e sembra che sia stata infranta anche l’ennesima promessa di un regime liberale e pacifico.

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Di Francesca Russo

Francesca, laureata in Comunicazione Interculturale, oggi studentessa al secondo anno magistrale in Area and Global Studies for International Cooperation presso l'Università degli Studi di Torino.

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