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Le ombre sul Recovery Fund

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Neoliberismo o democrazia?

Sul New Generation UE, chiamato impropriamente anche Recovery Fund, sono stati spesi grandi discorsi, che sottolineano un cambio di passo e annunciano una ripresa del processo d’integrazione europea. In molti aggiungono inoltre che questo esito metterà ai margini i sovranisti e gli euroscettici.

A distanza di pochi giorni dalla sua approvazione emergono tuttavia alcune ombre.

La cifra dei 209 che dovrebbero essere elargiti all’Italia è una stima molto ottimistica. Inoltre non compare nei documenti ufficiali.

Sul piano politico dobbiamo poi registrare il perseverare della logica neoliberista che ha caratterizzato il processo di costruzione dell’UE. Anzitutto va rilevato che il NGUE è fondamentalmente composto da debito. La parte di sussidio, al netto dei contributi, è così esigua (secondo alcuni il saldo è addirittura negativo) che non va nemmeno considerata.

Il NGUE, piaccia o no, è debito

il cui costo è composto dai tassi di interesse, indubbiamente vantaggiosi, e dalle procedure disciplinari che accompagnano la realizzazione delle riforme per realizzare i progetti finanziati.

Anche accettando l’idea che il prestito debba essere sottoposto a una vigilanza è a questo proposito molto controversa la contropartita democratica. Il rischio che corre l’Italia è che la politica economica venga direttamente scritta a Bruxelles lasciando agli italiani il mero compito di scegliere chi deve attuare i programmi europei. (Si tratterebbe dell’ideale di democrazia del Pd, ma questo è un altro discorso).

Una simile condizione di riduzione a democrazia si aggraverebbe con il ritorno del patto di stabilità, per il quale i parametri Italiani sono oramai largamente fuori norma.

Ma non è tutto. La condizione di subalternità a cui è sottoposta l’Italia deriva non solo dalla disciplina del NGUE, né solo dal patto di stabilità. Una terza leva di ricatto è data dalla Bce, che detiene una grande quantità di titoli di stato italiani e che potrebbe minacciare di rimetterli sul mercato portandoci al fallimento. Si tratta di una possibilità remota, anche perché nella medesima condizione si trova la Francia. Una simile leva di ricatto tuttavia esiste, e mentre in Francia gli economisti discutono su come rendere quei titoli irredimibili, in Italia si straparla ossessivamente del MES e dunque di un’ulteriore strumento di assoggettamento del paese.

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Uno dei tanti luoghi comuni sulla costruzione dell’UE

è che non si potrà ottenere alcun progresso senza cedere parte della nostra sovranità. Ma mi pare evidente che ora ci troviamo di fronte a un altro tipo di scenario, ovvero alla rinuncia delle prerogative democratiche del paese. Le elezioni non serviranno più a decidere cosa fare, ma solo a stabilire chi deve eseguire un programma scritto altrove, a Bruxelles, non da un parlamento europeo, ma dalla burocrazia tecnocratica dell’UE.

In parte viviamo già questa condizione, anche se c’è chi si ostina a negare l’evidenza e a svilire le argomentazioni di chi invece ne denuncia gli effetti.

È tuttavia arcinoto che in Ue le politiche non dico socialiste, ma più semplicemente keynesiane sono vietate da Bruxelles (Tsipras ne sa qualcosa), così come è noto che gli spread e gli aiuti dipendono dal livello di gradimento di cui godono governi.

Dovremmo allora uscire dalla falsa opposizione tra europeisti e sovranisti. La vera opposizione è tra neoliberisti insensibili al valore della democrazia e democratici.

In questo secondo fronte possono rientrarci anche gli stessi europeisti che realisticamente hanno preso atto che un’Europa diversa da quella attuale è impossibile.

Paolo Desogus
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Di Redazione Elzeviro.eu

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