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Venere in burqa. Una storia violenta

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Venere in burqa. Una storia violenta

Schembri Pascal

? 10,00

2012, 91 p., brossura

Nuova Ipsa Editore

 

Non è facile tratteggiare un personaggio che piano piano muta, diventa un altro. Non è neanche facile dare delle motivazioni plausibili, ma, cosa ancora più difficile, far sì che queste motivazioni colpiscano il lettore mettendo poi in crisi i concetti di “giusto” e “sbagliato”.

 

Pascal Schembri con “Venere in burqa. Una storia violenta” edito da Nuova Ipsa Editore riesce a fare questo e a più riprese. E? interessante notare come tutti e due i personaggi maggiori, Leila e il marito Murad, abbiano la capacità di mettere a dura prova il metro di lettura di “giusto” e “sbagliato” del lettore. Basteranno pochi esempi: sbaglia Murad che coltiva la canapa indiana, da cui poi verrà ricavata hashish da terzi, per raggranellare abbastanza dollari da fuggire dall’Afghanistan e garantire una vita dignitosa alla propria famiglia? Sbaglia Leila a sottostare alla volontà umiliante di Murad una volta in Italia? Sbaglia a perpetrare la tradizione in un Paese dove l?indossare il burqa non è più tradizione? Queste sono solo alcuni quesiti, che però lasciano notevoli margini di dibattito, anche al di là della specifica trama del libro.

 

Schembri ci fa leggere in “Venere in burqa. Una storia violenta” la degenerazione di Murad, che diventa il simbolo dell?ambizione corrotta e corruttrice. Pare un Faust musulmano e immigrato, ma titanico a modo suo. Lui che cerca a tutti i costi di dare alla famiglia in Italia ciò che aveva promesso in Afghanistan: una bella casa e una vita più che dignitosa. Lui che si scontra con la dura realtà dell?essere immigrato e la sua condizione “fuori da ogni regola”. Il che garantisce a lui e alla sua famiglia alcune sicurezze, ma impedisce di correre all?ospedale, dopo aver subito un pestaggio da un gruppo di altri immigrati. Murad dunque è un simbolo, il simbolo della discesa nel male che però lascia un dubbio: quanto sia colpa del singolo e quanto delle circostanze? Ma se fosse andata diversamente, sarebbe successo comunque?

 

Un altro tema che si può leggere tra le righe, specie nella prima parte ambientata in Afghanistan, è quello dell?opposizione alla norma. Né Murad, né Leila credono fermamente alla religione musulmana, ma la praticano, perché costretti dai Talebani.  Eppure giunti in Italia, Murad obbliga Leila a continuare ad indossare il burqa. Lei allora si accorge di quanto la religione (in ogni tempo e in ogni dopo) possa diventare strumento, velo, volto a nascondere giustificando motivazioni di forza o politiche. Nell?interpretazione della donna la causa “religiosa” per cui era costretta a portare il burqa in Afghanistan si svela per quello che è arrivata in Italia, solo un forma di ossessiva gelosia di Murad.

In controluce emerge anche un altro tema, che però una recensione non può nemmeno incominciare tanto è ampio, quello della violenza sulle donne. Certi passaggi mostrano come Leila si autoconvinca che sia Murad ad aver ragione, che lei abbia sbagliato in qualche modo, il tutto aiutato anche da una certa dose di minacce.

In definitiva “Venere in burqa. Una storia violenta” cerca non solo di intrattenere con una trama che lascia col fiato sospeso ad ogni fine capitolo, ma cerca anche di far luce su un mondo, quello dell?emigrazione/immigrazione, troppe volte accusato a priori, portando a galla anche delle plausibili motivazioni per la scelta criminosa, che un immigrato può essere portato a fare. Quindi Schembri non ci da il solito romanzo che punta tutto sulla storia, ma una finissima indagine, anche psicologica, ricca di spunti di riflessione e di turbamenti.

Luca V. Calcagno

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Di Redazione Elzeviro.eu

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