Quando il buonsenso va oltre le scuole di pensiero e la scelleratezza oltre l’immaginazione.
Avete mai sentito parlare della Curva di Laffer? Be, si presume che almeno gli economisti, i tecnici e chi pretende di governare ne abbiamo sentito parlare almeno una volta nella loro rinomata e referenziatissima carriera. La Curva di Laffer, elaborata dall’economista statunitense Arthur Laffer negli anni ’80, indica il rapporto tra pressione fiscale (diretta e indiretta) e le entrate che lo Stato incassa dalla prima. In sostanza, la teoria su cui si fonda questa curva afferma che esiste un punto oltre il quale l?aumento delle tasse produce non un aumento, bensì una perdita, per le entrate dello Stato; in pratica, a forza di aumentare le tasse e facendo gravare sempre di più il peso del fisco sull’economia reale, sui consumi e sulle tasche dei contribuenti, prima o poi i consumi si contrarranno ed i contribuenti si ritroveranno con le tasche talmente vuote che l’economia reale si paralizzerà. Di conseguenza, nonostante la tassazione alta, le entrate nelle casse dello Stato invece di aumentare diminuiranno sempre più e con esse si avrà anche un aumento del deficit (rapporto entrate-uscite pendente a sfavore delle entrare creando ancora più rosso nei conti pubblici). Senza contare gli effetti recessivi sul PIL che, rapportato al debito pubblico (interno ed estero), farebbe schizzare quest’ultimo alle stelle. Per ulteriori dettagli, osservare il grafico sopra esposto.
E Laffer non è stato l’unico nel secolo scorso ad esaminare il rapporto delle politiche fiscali (spesa pubblica e tasse) con le altre variabili dell’economia reale (investimenti e consumi) che tutte insieme compongono il reddito/ricchezza (noto come PIL) di un qualsiasi sistema economico. Nella formula del moltiplicatore keynesiano si afferma che un aumento delle tasse o una riduzione della spesa pubblica, ancor peggio quando si tratta di tutte due insieme, genera degli effetti depressivi sull’economia reale (meno investimenti e consumi in picchiata), con una forza proporzionalmente ben più forte rispetto alla sua consistenza (esempio: se aumento le tasse di 1, investimenti e consumi caleranno di 2; oppure, se aumento le tasse di 1 e riduco la spesa contemporaneamente di 1, investimenti e consumi caleranno di 4).
Da qui poi Keynes trasse spunto per le sue conclusioni secondo le quali vale la pena, specie in tempo di recessione, di finanziare quel po’ di investimenti, anche solo piccoli, da spesa pubblica che, pur generando deficit, contribuirebbero occasionalmente a non far crollare investimenti e consumi (e di conseguenza nemmeno il PIL), facendo in modo che essi tengano in tempo di crisi recessiva, per poi riprendere a viaggiare a crisi finita, generando sufficiente ricchezza per compensare il deficit di spesa creatosi durante la recessione apposta per non far crollare il PIL.
In questo modo si eviterebbe di innescare quel processo depressivo chiamato “austerità“, fatto di tagli di spesa e aumento delle tasse, di cui oggi stiamo vivendo e che ormai è diventata ordinaria amministrazione quotidiana di noi tutti e che ci sta portando sempre più verso quel baratro. Lo stesso baratro che, si diceva, l’austerità avrebbe dovuto allontanare. Notare bene: i due economisti del ‘900 qui citati non sono mai andati d’accordo in quanto appartenenti a due scuole economiche differenti, ma bisogna comunque rendersi bene conto di come le due teorie e i due approcci a confronto possano avere molto in comune; mentre Keynes e i keynesiani si sono sempre focalizzati sul sostegno alla domanda aggregata, quindi sostegno diretto ai consumatori, Laffer apparteneva e appartiene tuttora alla corrente degli economisti facenti capo alla teoria dell’offerta, ossia, incentivare investimenti e lavoro non attraverso la spesa pubblica come i keynesiani, ma attraverso una minore tassazione.
Chissà cosa ne pensano i vari Letta, Monti, Saccomanni, Grilli, economisti, professoroni e accademici vari che da ormai due anni ci fanno una testa tanto con la storia dei “sacrifici per uscire dalla crisi”.
Ario Corapi