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Una lezione di “furberia” del fondatore di Repubblica

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Su La Repubblica, mercoledì si è letto il commento che il suo fondatore ha fatto sulla lettera inviatagli il 4 settembre scorso, dal papa. Leggendolo, sembra proprio che Eugenio Scalfari sia una “pecorella smarrita”, alla ricerca di un buon pastore. Ma non appena si leggono bene alcuni passaggi, che tra poco saranno presentati, si scopre il lupo travestito da pecora. Si è approfittato dell?apertura del Papa, arrivando a manipolare le sue parole; costruendo una narrazione del tutto estranea al suo pensiero. Qui non si sta tentando di dimostrare che Scalfari sia cattivo o meno, bensì di smontare certe interpretazioni ora luoghi comuni troppo vecchi, ora classici pregiudizi illuministici. Unite dal fatto di essere state scoperte false da ricerche conclusesi da secoli. Ma a “La Repubblica” sembrano non ricordarselo. Si preparino gli occhi per una lettura attenta.

“La fede cristiana, la cui incidenza sulla vita dell’uomo è stata espressa attraverso il simbolo della luce, spesso fu bollata come il buio della superstizione. Così tra la Chiesa da una parte e la cultura moderna dall’altra, si è giunti all’incomunicabilità. Ora è il tempo  –  e il Vaticano II ne ha aperto la stagione  –  d’un dialogo senza preconcetti che riapra le porte per un serio e fecondo incontro”. Il commento di Scalfari si fa subito interprete di una visione per niente cattolica: prima di tutto vede il Vaticano II come rottura col passato; e poi il pensiero di Francesco come rottura col passato e addirittura con i suoi predecessori. Ma non è così, anche perché se si va a vedere bene, si scopre, ad esempio, che sui temi fondamentali come il matrimonio solo tra uomo e donna la pensa esattamente come i suoi predecessori. E poi, la questione incomunicabilità tra la Chiesa e la cultura moderna è nata per quest?ultima non ha creduto nella conciliazione tra fede e ragione; cosa che la Chiesa porta avanti da millenni. Si potrebbe dire addirittura che il Papa sia un “tradizionalista”.

Poi arriva il momento di parlare del bene e del male. Il Papa afferma che: “Per chi non crede in Dio la questione: [del bene e del male] sta nell’obbedire alla propria coscienza. Il peccato, anche per chi non ha la fede, c’è quando si va contro la coscienza. Ascoltare ed obbedire ad essa significa infatti decidersi di fronte a ciò che viene percepito come bene e male. E su questa decisione si gioca la bontà o la malvagità del nostro agire”. Scalfari si esprime meravigliato, arrivando a paragonare il Papa al cardinale Carlo Maria Martini. Non solo, dice anche che “un’apertura verso la cultura moderna e laica di questa ampiezza, una visione così profonda tra la coscienza e la sua autonomia, non si era mai sentita finora dalla cattedra di San Pietro. Neppure con Papa Giovanni XXIII e le conclusioni del vaticano II”. Peccato che dimentichi che papa Giovanni, senza rotture con la tradizione, ha saputo capire i problemi della modernità, in particolare del suo tempo; difatti il Vaticano II, aperto da lui e portato a conclusione dal successore Paolo VI, è stato la risposta utile e convincente alle sfide della Chiesa nel mondo e del mondo.

Subito dopo, Scalfari tira due colpi bassi. Si parla ovviamente della politica e della questione ebraica. Nel primo caso, partendo dalle parole del Papa che augura una società civile e politica più giusta, solidale ma specialmente più umana e con il senso della speranza, se ne esce con un commento che vede la Chiesa interessata anch?essa al potere temporale e poco incline alla separazione di “quello” religioso da “quello” politico. E per rendere le cose ancora più suggestive, oltre a fare un errore marchiano sulle crociate, ritenendole come il simbolo del potere temporale petrino, finisce col riportare erroneamente che a Canossa Enrico imperatore di Germania chiese scusa a Papa Gregorio VII dicendo: “Non tibi sed Petro” (non a te do il bacio di sottomissione, ma a Pietro di cui sei il successore) e ricevendo da questi la risposta: “Et mihi et Petro” (e a me e a Pietro). In realtà tali parole, come riporta il letterato Sanudo, furono usate da Federico Barbarossa e da Papa Alessandro III. Inoltre, come ricorda Franco Cardini, le crociate non furono il braccio armato per il controllo politico, ma l?occasione di apertura tra Occidente e Oriente e la possibilità di difendere i pellegrini impegnati nei viaggi verso i luoghi evangelici; in modo speciale verso Gerusalemme. Errori fatti sicuramente apposta, anche perché poi Scalfari ha sottolineato che la Chiesa pur parlando di carità e giustizia, deve conquistare il potere politico. Usando san Francesco come simbolo della lotta al potere della Chiesa, disegna due chiese: una pastorale e missionaria e l?altra istituzionale. Se avesse letto davvero la storia del santo, forse avrebbe capito che per lui ce ne era una sola, quella con Onorio III, e che la veste istituzionale non era un problema: la Chiesa ha bisogno di essere vista, di avere una forma concreta. Ebbe solo la missione di liberarla da certe debolezze umane, non di farla ritirare dal mondo.  

Varrebbe ancora la pena ricordare, a Scalfari, che in un regime democratico tutti meritano di giocarsela. La Chiesa, però, ha una missione più grande. Non ha interesse a prendere il “potere temporale”: anche se ha dei laici credenti che si impegnano per Lei. Quello che le sta a cuore è indicare la via della salvezza ad ogni uomo, nel male dell?egoismo e della solitudine. E questa speranza è rivolta anche agli ebrei, usati per il secondo colpo basso, ma senza avere la pretesa di convertirli con la forza. Se nella storia ci cono state incomprensione tra cattolici ed ebrei, è perché ci sono state umane incomprensioni, da entrambe le parti. Non dimentichiamo, però, che mentre i primi hanno riconosciuto con Giovanni Paolo II le proprie colpe e che gli ebrei sono “fratelli maggiori, questi nel Talmud (insegnamento) hanno ancora molti insegnamenti rabbinici che vanno contro il cristianesimo.

La conclusione riguarda il commento che Eugenio Scalfari fa alla proposta del Papa di fare un tratto di percorso insieme. Dice che ne sarebbe felice, dato che vorrebbe uscire dalle tenebre e vedere la luce. Ma non è disposto a credere che le tenebre siano il peccato originale, giacché le vede come la semplice parte bestiale di una scimmia pensante. Prima di esprimersi così vale la pena verificare se sia così oppure no. I santi dimostrano il contrario: prendendo seriamente il significato del peccato originale, come separazione dell?uomo da Dio, hanno espresso il meglio per l?uomo: la carità e l?amore. Si possono ottenere e dare cose concrete, partendo da qualcosa che non esiste? Per il resto, chi scrive spera e prega affinché il fondatore de La Repubblica si converta e diventi più leale, siccome non si è dimostrato tale.

Domenica 15 settembre, beata Maria Vergine Addolorata

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Di Redazione Elzeviro.eu

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