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Il Senato è indegno! L’analisi del progetto di riforma Costituzionale

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Tra quattro giorni i cittadini italiani saranno chiamati ad un referendum di modifica, invero profonda, della Costituzione della Repubblica. Il referendum, i cui contenuti se confermati dal popolo cambieranno il sistema politico da qui a mezzo secolo o più, sono chiari, ma non ostante questo si è fatto di questo referendum un’inevitabile battaglia politica sulla permanenza o meno dell’attuale governo a guida di Matteo Renzi. Questo parlamento, i cui membri hanno espresso ormai tre governi (e in parte pure il governo Monti), è stato eletto con una legge che la Corte costituzionale ha dichiarato illegittima. Il parlamento non è stato estensivamente considerato illegittimo, ma tale, senza alcun dubbio, è. A fronte di tale, insindacabile, fatto, ogni atto legislativo posto in essere da questo e da ogni parlamento eletto con la legge elettorale volgarmente nominata “porcellum”, è illegittimo, immorale ed illegale.

Posta questa ardua da digerire, ma onesta premessa, si comprende come voler riformare quella che, addentrandoci nel politico, è stata bipartisan definita a più riprese “la Costituzione più bella del mondo”, sia un controsenso che si basa su assunti malandrini. Ebbene, siccome non è l’etere a governarci, ma figuri che siedono illegalmente su vetuste poltrone, vediamo come il nostro giovane premier affabulatore cerca di cambiare e stravolgere gli assetti istituzionali. 

Note alla riforma del circuito parlamentare.

I membri della Camera dei deputati rimarranno molti, seicentotrenta, e saranno eletti dal popolo a suffragio universale a partire dai diciott’anni di età. L’elettorato passivo è di venticinque anni, per fregiarsi del titolo di onorevole. Invero c’è subito da specificare che la costituzione viene platealmente tradita dalla classe politica da decenni, allorquando nel tentativo di introdurre il bipolarismo nel nostro paese, salirono al vergognoso soglio istituzionale le liste bloccate. I segretari ed i potenti di partito si affidano alle loro riunioni a tavolino dove si compilano liste di nomi, la cui elezione in parlamento sarà poi decisa unicamente dal numero di voti ottenuti dal partito, nell’ordine prestabilito.

Tutto il resto, le cosiddette “parlamentarie”, ecc. costituiscono delle boutades politiche senza rilevanza istituzionale e messe su dal circo dei partiti, che ancora oggi sono giuridicamente delle associazioni private che fanno vergognare gli iscritti quando, esempio clou sia il Movimento Cinque Stelle, il “proprietario del simbolo” si adopera nelle espulsioni dei membri del partito, dissenzienti o criminali che siano. Sì, perché naturalmente nel nostro stato fantoccio la giustizia non funziona e in politica viene amministrata (leggi, distribuita) dai proprietari dei simboli. Oppure si pensi all’esimia “presidenta” Boldrini, nominata dal compianto Sel senza nemmeno passare per le parlamentarie-farsa del defunto partito. In effetti siamo ancora in gran parte un popolo che vota il simbolo e non il programma, né le persone. A meno che non ci sia qualche promessa o favore in cambio. Esempio clou ne sia il partitello Fratelli d’Italia, che al suo interno reca i simboli di almeno altri due partiti defunti (Alleanza Nazionale e Movimento sociale Italiano).  

Il casus belli

Il Senato della Repubblica vorrebbe diventare quello che in molte nazioni europee è la camera dei territori, ma il sistema di elezione viene scorporato da quello attuale, e le due Camere, a questo punto Camera alta e Camera bassa, assumono funzioni totalmente distinte e, soprattutto, di peso diverso. Del Senato della Repubblica resterà soltanto il nome, il simbolo, la televisione, la bouvette, e altre dispendiosità inutili. I membri, novantacinque, saranno eletti dai Consigli regionali sparsi per le venti regioni italiane. 21 saranno sindaci di grandi comuni, che quindi per alcuni giorni alla settimana dovranno inopinatamente andare a Roma, dimenticando di gestire metropoli come Torino, Milano, Napoli, Palermo, Bologna, Venezia, Firenze, eccetera. Città che necessiterebbero di un sindaco al lavoro per 25 ore al giorno, per 8 giorni su 7, per intenderci… Gli altri 74, invece, saranno consiglieri regionali E senatori. Insomma, si immagini l’immunità parlamentare per tutti i consiglieri di rimborsopoli in Piemonte, oppure per i consiglieri reginali collusi con la mafia come il famoso Toto’ nazionale.

Ad essi si aggiungeranno 5 senatori nominati dal Presidente della Repubblica. Ancora non si dirime la questione. 5 per ogni presidente della Repubblica, oppure cinque in tutto e che resti cinque il numero dei nominati, a prescindere da chi sia il capo dello stato durante un settennato? Mistero insoluto. 
Sparirebbe la navetta Camera-Senato che rallenta molto il processo legislativo (che però, quando bisogna legiferare davvero, va sempre in porto e non si incaglia mai). Vi è poi tutta la questione della legislazione d’urgenza abusata negli ultimi venti anni, perfino per promuovere leggi ad personam, che non dovrebbe venire modificata in modo pregnante: il problema della lentezza parlamentare, dunque, appare un non-problema. Il Senato potrà chiedere alla Camera di modificare le leggi ordinarie, ma quest’ultima non sarà obbligata a tenere conto del parere del Senato. Che, dunque, si stuferà presto di proporre ufficialmente modifiche alla Camera.

I membri del Senato, eletti in misura proporzionale alla densità di popolazione delle regioni, con ovvie (ma non perciò condivisibili) eccezioni per garantire la rappresentatività alle micro-regioni, avranno un mandato territoriale. Ciò significa che la loro durata come parlamentari sarà corrispondente alla durata dell’elezione in Regione (o in Comune, se sindaci). Questo comporterà una scontata mutevolezza di composizione, e probabilmente un’instabilità della camera in questione.
Su poche materie: riforme costituzionali e legge elettorale, permarrà la competenza del Senato. Ridotta all’osso, dunque, la competenza di una camera, la cui formazione, d’altro canto, appare pasticciata e superficiale. La rivoluzione giusta dell’abbandono del bicameralismo perfetto (quello italiano è l’ultimo rimasto sul continente), non si può sposare, né in nobiltà né in funzionalità, con questa nuova formazione del Senato della Repubblica.

Dei 15 giudici costituzionali, tre saranno eletti dalla Camera, due da questo nuovo Senato. Questo nuovo Senato, caratterizzato dalla provincialità più accentuata, darà un peso enorme alla territorialità nell’elezione del Presidente della Repubblica. Già i padri costituenti avevano previsto che 58 rappresentanti delle Regioni partecipino (così oggi è) all’elezione del Capo dello Stato, insieme alle Camere riunite in seduta comune. La spendida cornice è quella di palazzo San Macuto, ma se il progetto dovesse essere approvato sarebbe sufficiente un palazzo più piccolo. Il fatto che il nuovo Senato partecipi a questa elezione sbilancia in modo che si può ritenere non equo la elezione del Capo dello Stato verso i rappresentanti locali a scapito dei rappresentanti nazionali.

Una nota che potrebbe sembrare positiva è la presunta sparizione dei Senatori a vita (19mila euro al mese di stipendio). Sfavilla ancora l’indegnità di Monti nelle menti lucide degli italiani che ripensino allorquando, per farlo premier, Napolitano lo elesse fregandosene dei canoni da rispettare: per esempio, che lustro alla nazione aveva dato il grigio professore, da rettore di un’università privata o banchiere che fu? Il presidente del consiglio dei ministri, infatti, deve essere un parlamentare, e Monti non lo era. Poi ha approfittato della sua posizione per tentare la fallimentare esperienza politica di “Scelta civica”. Un usurpatore bello e buono che ancora siede in Senato. Per non parlare dei numerosi interventi di voto (e non solo di indirizzo, o di parere scientifico) dati da questi parlamentari che ivi si sono seduti per anni senza alcun mandato popolare e democratico. Un palese retaggio della monarchia, laddove i principi reali sedevano in senato di diritto. In verità gli attuali senatori a vita resteranno a vita. I presidenti della Repubblica al termine del loro settennato (salvo eccezioni come la riconferma di Napolitano) diverranno, come sempre, senatori di diritto a vita, mentre le personalità che avranno illustrato la Patria per altissimi meriti in campo sociale o scientifico (si pensi sempre a Monti, sic) verranno ancora eletti, ma restaranno in carica per sette anni. Quindi “abolizione dei senatori a vita”? Bufala.

Le note positive però ci sono, (e si concentrano in questo capoverso) come il riportare in capo allo Stato le competenze della protezione civile, della gestione dell’energia, e delle infrastrutture considerate “strategiche”, togliendo pertanto potere alle regioni, che spesso veniva amministrato in modo troppo difforme da territorio a territorio. Verrà inoltre, nel caso del passaggio della riforma, portata definitivamente a compimento l’abolizione delle province, e le loro competenze rimesse definitivamente in mano ai sindaci. Oggi è de facto già così, ma la ratifica costituzionale è necessaria poiché la Costituzione cita ancora l’ente istituzionale provinciale. L’abolizione del Cnel, burocratico ed inutile retaggio del 1948 fa sorgere un solo quesito: perché non l’abbiano già espunto dalle istituzioni mezzo secolo fa.

Le note neutre

I referenda cambieranno. Saranno forse meno democratici: quelli di iniziativa popolare rimarranno a mezzo milione di firme necessarie per essere proposti, ma se i promotori riusciranno ad arrivare a raccogliere ottocentomila firme, si potrà abbassare drasticamente il quorum. Il referendum proposto con ottocentomila firme sarà pertanto valido calcolando il quorum non più, come oggi, sugli aventi diritto al voto, bensì sui votanti dell’ultima tornata elettorale. C’è da dire che la popolaziona italiana dal 1948 è cresciuta da 46 a 61 milioni e quindi un aumento più che proporzionale sarebbe stato auspicabile (anche calcolando le prospettive future), pure per la stessa proposizione della domanda, ma può andar bene anche così.
Il referendum, infine, non sarà più soltanto abrogativo, bensì pure propositivo. Il referendum propositivo è sicuramente uno strumento di democrazia diretta di grande impatto e potrebbe essere l’ago della bilancia per molti indecisi nella scelta fra il Sì ed il No a questa riforma. Sui grandi temi, infatti, la popolazione potrà introdurre una legge, come accade in molti paesi europei da anni. Sono stati decisi con referenda propositivi la permanenza della Scozia nel Regno Unito o l’introduzione dei cosiddetti matrimoni omosessuali in Irlanda.

Per chiudere questa sintetica trattazione, le leggi di iniziativa popolare passeranno da 50 mila firme per essere proposte al parlamento, a 150 mila. Si tratta di un aumento di non poco conto, che triplica le firme necessarie per la proposta. Saranno poi i regolamenti parlamentari a decidere i tempi di analisi della proposta da parte della Camera.

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Di Redazione Elzeviro.eu

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