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Per la festa della donna non c’è più posto (se vogliamo difendere la parità)

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Figlia di un sistema che legittima e rafforza discriminazioni e gerarchie, per la festa della donna non c’è più posto (se vogliamo davvero difendere la parità).

La giornata viene celebrata l’8 marzo, ma solo in Italia si regalano fiori per l’occasione e le è stato attribuito il nome di festa. Negli altri paesi, infatti, in questo giorno viene celebrata la Giornata internazionale della donna. Proprio da questa sottile differenza di denominazione ci si rende conto della natura ipocrita che una giornata così importante ha assunto nel nostro paese.

Le origini della data

Nel 1909 è il Partito Socialista americano a istituire per la prima volta una giornata dedicata alle donne, Women’s Day, celebrata a febbraio dello stesso anno. L’idea arriva in Europa l’anno seguente – durante la seconda Conferenza Internazionale delle Donne Socialiste in Danimarca – e assume importanza a livello internazionale nel 1921 (quando viene anche stabilita la data unica dell’8 marzo per celebrare la Giornata internazionale della donna).

In Italia

Sembra invece che in Italia l’8 marzo sia solamente un’altra occasione per ribadire, legittimare, e infine rinforzare le discriminazioni e gerarchie che separano uomo e donna.
La ‘Festa’ della donna si chiama così perché è vero che celebra le donne, ma soltanto la categoria giusta, quella della Vera Donna.
Vengono regalate le mimose, sui social si condividono messaggi di solidarietà femminile e guai agli uomini che si dimenticano di fare gli auguri!
Insomma, la festa della donna non è altro che un siparietto carino con il subdolo scopo di nascondere la realtà che sta dietro: un sistema di politiche ormai superate che ancora cerca di rimanere a galla.

Il monologo di Barbara Palombelli a Sanremo

L’ultima dimostrazione arriva dal Festival di Sanremo 2021, dove la giornalista Barbara Palombelli non ha perso l’occasione per ricordare che l’immagine della Vera Donna, purtroppo, non è ancora stata eliminata.

In un monologo che dà le spalle al futuro, ancorato stretto a un passato di chiara matrice borghese, la Palombelli ricorda con orgoglio il percorso intrapreso dalle donne della sua generazione. Si rivolge alle giovani con tono paternalista, sorride e sottolinea quanto sia importante il ruolo che ha la donna in Italia (quello di detentrice del lavoro di cura) per poi finire:

Voi, giovani donne di oggi, difendete i diritti con il sorriso determinato che avete. Dobbiamo ribellarci sempre, vorranno umiliarci e ci criticheranno comunque. Non andremo mai bene ai padri, ai mariti, ai fratelli. Studiate fino alle lacrime e arriverete all’indipendenza.

La donna, che inevitabilmente si ritrova schierata contro il genere maschile – appunto padri, mariti, fratelli – secondo la Palombelli dovrebbe lavorare, studiare fino alle lacrime per cosa? Per ottenere il premio ultimo, l’indipendenza.

Ed è proprio da questi ultimi minuti del discorso che ci accorgiamo che le conquiste sociali, politiche ed economiche per cui nasce la giornata della donna, in Italia, altro non sono che un mezzo per ribadire il passato: il divario di genere è incolmabile e il sistema delle gerarchie è l’unica via d’uscita.

L’immagine della Vera Donna

che ha delineato la Palombelli viene riproposta ogni anno sui social. Un post che l’8 marzo celebra la vita straordinaria di importanti figure femminili sta solamente favorendo la diffusione di questa retorica che premia chi lavora sodo ma con onore (l’ideale per eccellenza del sistema borghese) e che responsabilizza il singolo senza vedere la criticità del sistema.

In questa giornata è evidente la separazione delle donne dal potere: si celebra il femminile evidenziandone la sua posizione laterale rispetto al mainstream dell’umanità. Oggi dobbiamo essere in grado di discostarci da un sistema che ci propina giornate come la festa della donna per diffondere messaggi sbagliati e soprattutto che ci dimostra che la strada verso il cambiamento è ancora lunga.

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Di Eleonora Milani

Tirocinante presso Elzeviro.eu e studente dell'Università degli Studi di Torino.

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