La guerra uccide, ma i soldati non muoiono soltanto sul campo di battaglia. C’è un altro nemico, forse più temibile, che si annida proprio vicino a loro: l’uranio impoverito contenuto nelle munizioni e nei proiettili.
di Francesca Argentini
Negli ultimi due decenni sono stati 366 i membri dell’Esercito italiano uccisi da patologie tumorali e 7500 quelli che si sono ammalati. In alcuni di questi casi è stata riscontrata la presenza di uranio nel midollo osseo. Ma come arriva questo metallo killer nel corpo dei militari? Oltre che per utilizzi civili, l’uranio impoverito viene usato nelle munizioni anticarro e nelle corazzature di alcuni sistemi d’arma. La sua tossicità “chimica”, simile a quella di piombo e tungsteno, è la fonte di rischio più alta a breve termine e può causare intossicazione acuta, mentre non è escluso che anche la radioattività possa causare problemi clinici nel lungo periodo, soprattutto dopo un’esposizione protratta nel tempo.
Dagli anni Novanta ad oggi molti militari che sono stati in missione all’estero si sono ammalati di quella che è stata definita“sindrome dei Balcani“, ovvero una lunga serie di malattie, soprattutto linfomi di Hodgkin e altre forme di tumori. Le malattie non hanno risparmiato i soldati impegnati in Afghanistan, Bosnia, Kosovo e Iraq. Come riportato su un articolo de Il Corriere della Sera, ci sono state 43 sentenze sia in tribunali civili che amministrativi di cui 13 sono passate in giudicato.
La prima sentenza
che lega gli effetti dell’esposizione alle patologie contratte dai soldati impegnati nelle missioni internazionali è della Corte d’Appello di Roma, risale al 9 giugno 2004 e recita:
gli effetti pregiudizievoli per la salute umana dell’uranio impoverito sono assolutamente notori, in quanto ampiamente comprovati scientificamente.