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La nuova frontiera della russofobia: una balena al soldo di Putin

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Dopo aver teorizzato l’utilizzo dei gatti come arma di propaganda sovranista, i media liberal scrivono un’altra pagina indelebile nel percorso di annientamento della propria credibilità.

 

Secondo Riotta ed altri irreprensibili media nostrani, Assange non andrebbe difeso; le sue infatti, a quanto pare “non sono inchieste giornalistiche, bensì vere e proprie operazioni di spionaggio internazionale”.

Vi è senz’altro un aspetto emozionante nella teoria summenzionata. Ben più struggente del semplice fatto che alcune testate accreditino ancora come esperto di politica estera – e responsabile dell’omonima redazione – un personaggio che, durante i mondiali in Russia, denunciò il sequestro dei cellulari di chiunque cinguettasse post anti Putin, per poi pubblicare con metodica costanza selfie che lo ritraevano allegro e festante in ogni stadio e in ogni partita.

L’aspetto al quale si fa riferimento, non è altro se non una presa di coscienza oramai incontrovertibile: per questi bizzarri soggetti (che dopo il caso Caizzi e la bufala a reti unificate del Russiagate pretendono ancora di impartire lezioni di etica professionale) sia le inchieste autentiche, sia lo spionaggio russo, appartengono ad un mondo fiabesco nel quale proliferano gatti sovranisti e balene addestrate dal KGB. Temibilissimi attori geopolitici, i quali con tutta probabilità agiscono su mandato della marmotta che incartava la cioccolata nelle pubblicità della Milka.

Se le manie di persecuzione degli organi di informazione liberal dovessero proseguire di questo passo, consigliamo vivamente una frettolosa opera di ristampa del grande classico di George OrwellLa Fattoria Degli Animali”: magari con un’avvertenza a caratteri cubitali, simile a quelle esposte sui pacchetti di sigarette. “Trattasi di un romanzo allegorico, non adatto ai moderati paranoici”.

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Di Filippo Klement

Classe 1990, ha studiato giurisprudenza, a latere un vasto interesse per la storia contemporanea e la politica.

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