Da giorni in Francia divampano le proteste contro la riforma delle pensioni voluta da Macron. Una tenacia e un orgoglio – ovviamente stigmatizzati dai media devoti all’austerità – di portata eccezionale, specie se raffrontati con i manifesti di chi riempie le piazze in Italia.
di Andrea Zhok
Su giornali e telegiornali si succedono compunte disapprovazioni rispetto alle proteste che paralizzano da giorni la Francia. Gli inviati a Parigi (meravigliosi quelli di Sky) si affrettano a spiegare come si tratti di una riforma che vuole “armonizzare” il sistema, una riforma che vuole “universalizzare” i trattamenti pensionistici, che insomma ora sono così complicati – signora mia – che davvero non ci si raccapezza.
E naturalmente si usa l’usuale strumentario argomentativo, già ben lubrificato dall’uso in patria “Si tratta di equità intergenerazionale: bisogna impedire che tutte queste risorse vadano indirizzate verso gli anziani“. E infatti le riforme pensionistiche in tutti i paesi in cui sono già avvenute hanno notoriamente consentito la creazione di un mondo di brillanti opportunità per i giovani.
“E poi si tratta di equità tra gruppi sociali: basta con gli squilibri tra lavoratori tutelati e non tutelati!”
E la soluzione ‘armonizzante’, ‘universalizzante’, sta naturalmente nel togliere le tutele a quelli che ancora ce l’hanno, mai il contrario.
E poi ancora “Ma insomma cosa vogliono questi francesi? Quanto sono viziati! Altri paesi hanno già un’età pensionistica superiore!”
E perciò continuiamo la gaia corsa al massimo ribasso delle condizioni di lavoro. Così presto finirà il giro, e saremo di nuovo noi quelli ‘comparativamente privilegiati’, da spremere un po’ di più.
La triste verità è che gli attuali scioperi in Francia, con tre giorni di blocco del paese, sono semplicemente una dimostrazione a prova di bomba che siamo un popolo di boccaloni. In Italia infatti ci siamo bevuti (e ci continuiamo a bere) come acqua fresca sotto il sole d’agosto tutte le storie che ci vengono ammannite per spiegare un principio saldissimo, assai raccomandabile e moralmente inattaccabile: <<Chi lavora per vivere deve stringere la cinghia>>.
Questo è il contenuto di fondo, il minimo comune denominatore, di tutte le comunicazioni politiche dell’ultimo ventennio almeno. Rispetto a questo nocciolo duro, variano poi i mille modi in cui ci viene spiegato che è giusto così. E’ giusto così perché siamo colpevoli, improduttivi, evasori, pigri, corrotti, indebitati, ignoranti, sessisti e, diciamolo, puzziamo pure un pochino.
E dunque è giusto che le condizioni del lavoro siano erose, le pensioni diventino un miraggio, la sicurezza sul lavoro sia un optional, i salari vengano compressi. E’ tutto giusto, perché siamo colpevoli. Invece quegli arroganti dei cugini d’oltralpe non hanno ancora capito bene quanto siano colpevoli pure loro, quanto sia giusto, morale, praticamente santo che vengano spremuti e buttati ad maiorem gloriam del capitale.
Noi invece, noi che c’abbiamo l’occhio lungo, noi che non ci facciamo illusioni, noi che sappiamo di essere peccatori, noi stiamo buoni e votiamo gente che ci fa stare buoni (che sennò facciamo brutta figura in Europa). Noi non protestiamo. Noi aspettiamo che quelli che pensano al nostro bene in luoghi lontani e favolosi, come Bruxelles e Francoforte, ci buttino un osso.
Mentre quegli screanzati dei cugini francesi manifestano contro i tagli alle pensioni, la nostra ‘migliore gioventù’ manifesta per ringraziare la Politica con la P maiuscola, per avercele tagliate. Davvero, questa plebaglia francese non ha davvero capito nulla.
Fortunati noi, che abbiamo solo l’imbarazzo della scelta su chi mandargli a spiegare quanto siano in errore.