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Il “black lives matter” e le priorità delle multinazionali

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L’insistenza dell’attivismo messo in campo dalle multinazionali nell’ultimo periodo ripropone un annoso quesito: secondo quali criteri i ceti abbienti abituati a ragionare secondo la logica del profitto individuano le priorità?

di Andrea Zhok

Coca-Cola si aggiunge a Verizon, Unilever e Patagonia, nel fare pressioni su Instagram e Facebook al fine di incrementare la “attività di moderazione e controllo dei contenuti” – cioè per esercitare maggiore censura – in modo da colpire il razzismo e lo “hate speech”.

E’ un mondo meraviglioso quello in cui assistiamo ad una grande corsa al rilancio da parte delle maggiori multinazionali per epurare il pianeta dai suoi maggiori problemi. Loro sì che hanno capito quali sono le priorità del globo, e del mondo occidentale nello specifico.

Ed è bellissimo vedere questa meravigliosa armonia di intenti che abbraccia amorosamente l’intero globo, studenti e deputati, presentatori e amministratori delegati, tutti uniti per La Causa.

Eccoci, siamo arrivati, è venuto il tempo di combattere i commenti irrispettosi e le battute offensive, il momento di stracciarci le vesti sul nostro passato, di chiedere la revisione dei libri di storia, di epurare film, di abbattere statue, di rivedere il “canone occidentale”, smettendo di studiare a scuola le opere stantie di tutti quei “maschi bianchi morti” (“dead white males”).

La Rivoluzione è vicina e noi potremo dire “c’eravamo!”.

Come sempre la chiave nella storia e nella politica è l’individuazione delle priorità. Esiste ciò che nell’agenda mentale pubblica è priorità, focus attentivo, e tutto il resto è accademia. E i leader abbienti dei ceti abbienti nei paesi abbienti lo sanno perfettamente. Dopo tutto li manderemo ben a studiare tutti quei “maschi bianchi morti” per qualcosa?

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