Sono nata alla fine degli anni settanta; per cui ho vissuto la mia infanzia nei gloriosi anni ottanta. A quei tempi i compleanni si festeggiavamo a casa, alle quattro del pomeriggio; il tavolo in salotto era rivestito di tovaglie di carta multicolori, i panini imbottiti erano guarniti con bandierine e ombrellini, le pizzette venivano tirate fuori dal forno qualche minuto prima che iniziasse la festa. In quella giornata erano concesse Coca-cola, Fanta e patatine. Le mamme sostavano all’ingresso, il tempo di salutare la padrona di casa ed accordarsi per l’orario in cui venire a riprendere il proprio pargolo. E alle sette, quando tutto era finito, si tornava a casa, esausti e felici.
A quei tempi i bambini si mascheravano a scuola, schiamazzavano per le strade tirando i coriandoli e le stelle filanti. Per qualche ora i maschietti si trasformavano in Superman e le femminucce in principesse sognanti.
A quei tempi ciò che le maestre dicevano era legge non oggetto di contestazione da parte di genitori offesi, il diario un mezzo di comunicazione fra scuola e casa, il grembiule un modo per farci sentire tutti uguali.
Poi quei tempi sono passati, noi siamo cresciuti, e sono nati i nostri figli. Negli ultimi anni, ho notato una grande attenzione alla dimensione del bambino. Gironzolando per i vari blog non si fa altro che parlare di “bambini che non mangiano”, “bambini che non dormono”, “bambini che non parlano”, “bambini che non giocano” e via continuando. I bambini non fanno più nulla. E così, si inizia la girandola delle visite neuropsichiatriche, logopediche e di psicomotricità. Il bambino “che non rientra” nella statistica va curato. E’ questo il succo del discorso.
Ma, soprattutto, oggi i bambini danno fastidio, disturbano. Ai miei tempi, le voci dei bambini erano la gioia del cuore (come usava dire mia nonna). C’era tenerezza nei confronti dell’infanzia, comprensione, umanità.
Oggi abbiamo inventato “il kid corner” al ristorante, il villaggio turistico “child friendly“, il posto a sedere sul treno “family” cioè dedicato alle famiglie. Insomma, siamo stati ghettizzati. Hai un bambino? Allora devi sederti in una determinata zona.
Quando viaggiavo in treno con i miei nonni, ero oggetto di carezze e pizzicotti da parte degli altri viaggiatori che mi chiedevano quanti anni avevo, che scuola frequentavo e che si rivolgevano ai miei nonni con toni affettuosi e gentili condividendo il sentimento di gioia che i bambini davano.
Qualche giorno fa, invece, i miei vicini di casa ( giovani e senza figli) mi hanno detto che mio figlio é rumoroso e che a loro dà fastidio. Anzi, peggio. L’hanno presa alla larga lamentando che i cani abbaiano (ma va?!) per arrivare a quello che io avevo subodorato: il bambino disturba. Mio figlio, tre anni a maggio, esce di casa alle nove e un quarto e rientra dal nido alle cinque. Passa un paio di ore a colorare, guardare i cartoni, a fare il bagnetto. Poi cena, alle nove e trenta é a letto. E’ un bambino tendenzialmente buono ma pur sempre bambino è. Gorgoglia, parlotta, chiama, ride.
E’ vivo.
Una mia amica mi ha scritto ” Che rumore fa, la felicità”……forse é proprio di questo che si tratta.