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Capitolo II ( Parte seconda) – Il Mostro a tre teste

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di Roberto Crudelini

Ovvero come tre amici?ben all?interno di ogni sospetto si spartirono un impero con il senato ed il popolo di Roma a?fare da spettatori.

Nel periodo di cui ci stiamo occupando, Cesare, altrettanto abile con gli intrighi politici quanto lo era con la spada, si era avvicinato nel frattempo a Pompeo e a Crasso. Favorendo il primo si costruiva il trampolino politico necessario per affermarsi nell?agone politico, facendo la corte al secondo si procurava un finanziatore per le sue folli spese. A Roma, ricordiamo, poteva fare carriera politica solo chi aveva a disposizione un ingente capitale di partenza, chi non ce l?aveva o si accontentava di rimanere ai margini della vita politica o doveva essere?bravo a procurarselo. Cesare da questo punto di vista fu un autentico maestro.
Mentre, come abbiamo detto prima, Pompeo strigliava a dovere il re del Ponto, il patto tra Cesare e Crasso finì per aumentare ancora di più il livello dello scontro politico a Roma. Tra i due schieramenti, i popolari e gli ottimati si stava scavando un solco sempre più profondo, a discapito della pace e della convivenza civile. Per dirla in breve, sempre più spesso le discussioni degeneravano in gigantesche scazzottate. Risse che forse non riusciamo neanche ad immaginare in tutta la loro gravità. Immaginate una zuffa in cui vengono coinvolte contemporaneamente centinaia di persone e questo senza alcun intervento delle forze di polizia. Se è vero che a Roma l?ordine pubblico era mantenuto da truppe di “vigiles” di stanza in città, è altrettanto vero che queste erano pur sempre espressione della classe degli ottimati, ovvero dei senatori. Questo vuol dire che, o si guardavano bene dall?intervenire, o, se lo facevano, picchiavano in una sola preordinata direzione, finendo con il diventare a loro volta milizie di parte.
Roma in quei tristi giorni ai trasformò in una gigantesca arena di combattimenti, dove non passava giorno senza che qualche disgraziato rimanesse accoppato per strada come un cane. Per i cittadini diventava rischioso anche solo uscire di casa per andare a fare la spesa: il rischio di venire coinvolti in una di queste mega mischie era elevatissimo. Negli schieramenti politici, al di là di ogni possibile dubbio o equivoco, si erano ormai delineate le posizioni. Da una parte Cesare e Crasso, dall?altra Cicerone e Catone detto “Uticense”. Costui era il nipote di quel vecchio bacchettone di Catone il Censore che ai tempi dello scontro con Cartagine si era distinto per essere fieramente anticartaginese, fieramente antifemminista, fieramente antiellenico, fieramente anti?tutto. Cicerone, concittadino di Mario apparteneva all?ala moderata del partito aristocratico; introdottosi nella vita pubblica della capitale come un uomo nuovo al pari di Mario, pensava, a differenza di quest?ultimo, che solo il senato, pur con tutti i suoi limiti e difetti, potesse mantenere in vita le libertà repubblicane. Bisogna dare atto al grande oratore che in vita sua non fu mai cliente o portaborse di qualcuno e che dietro le sue posizioni politiche non c?era traccia di interessi personali. Come abbiamo visto prima a proposito di quel ladrone di Verre, quando si trattava di bacchettare la classe dirigente romana, espressione del suo stesso partito, lui non si tirava di certo indietro. Tra tanti pregi però aveva un grosso difetto: non era propriamente un cuor di leone: quando si trattò in seguito di scendere a patti con la sua stessa coscienza per non rischiare di rimetterci le penne, non ci pensò su due volte né si fece scrupolo di contraddirsi apertamente.
All?interno del partito popolare c?era però un personaggio alquanto inaffidabile, una mina vagante che avrebbe rischiato forse di rovinare i piani dello stesso Cesare, si chiamava Lucio Sergio Catilina. Membro a suo tempo del partito sillano, era stato uno dei più accesi scherani del dittatore. Uomo di poche e confuse idee politiche, aveva un solo scopo nella sua disordinata esistenza: la conquista del potere, con qualsiasi mezzo e con qualsiasi alleanza. Per questo motivo non deve sorprenderci il fatto che questo losco individuo, così come ci viene descritto dallo storico Sallustio, potesse passare con estrema disinvoltura da un partito all?altro. Lo stesso scrittore latino ce lo descrive dotato di grande forza, coraggio e resistenza alle fatiche, ma anche portato al vizio, alla violenza e alla perversione. Un uomo senza scrupoli che evidentemente sotto la breve ma intensa parentesi di Silla, suo protettore, aveva gustato il sapore del potere e ne era rimasto soggiogato.
Del suo grande padrino però Catilina non aveva né l?intelligenza, né l?acume politico, né la furbizia necessari per affermarsi sulla piazza di Roma. Mandato in Africa come governatore, trovò il modo di farsi incriminare per il reato di concussione, cosa che gli impedì nel 65 di candidarsi al consolato. Negli anni successivi il nostro bullo di quartiere ci riprovò ancora ma evidentemente il fato, gli dei, o forse il semplice buon senso dei romani gli negarono ancora questa soddisfazione. Non gli fu d?aiuto neppure la sua proposta di cancellare tutti i debiti in corso. Una mossa incauta che nelle previsioni avrebbe dovuto garantirgli l?appoggio dell?enorme massa degli indebitati e disperati di Roma, ma che in pratica finì solo per isolarlo politicamente. I suoi due teorici alleati, Cesare e Crasso, si rifiutarono di appoggiare un provvedimento così estremistico, demagogico e poco realistico.

Fu allora che Catilina, visto che con l?intelligenza (peraltro scarsa) e con le buone maniere (non erano il suo forte) non aveva ottenuto nulla, si mise ad organizzare un bel “golpe”. Il suo piano prevedeva la costituzione di un esercito con il quale avrebbe dovuto impadronirsi del potere conquistando la stessa città di Roma. Un piano in apparenza folle, delirante, ma che avrebbe anche potuto andare a buon fine vista la particolare vulnerabilità dello stato in quel momento. A mettergli i classici bastioni fra le ruote sarebbe stato proprio Marco Tullio Cicerone, solerte difensore e garante di quell?ultima parvenza di legalità repubblicana che ancora aleggiava sul cielo plumbeo di Roma.
Testimone dei fatti di quei giorni fu lo storico Gaio Crispo Sallustio di cui abbiamo già apprezzato la realistica descrizione della personalità contorta di Catilina. Sallustio apparteneva al partito popolare, ma di certo non guardò con occhio benevolo quello che reputava nient?altro che uno squallido tentativo insurrezionale, portato tra l?altro avanti dagli ultimi rappresentanti della tirannia sillana. Stando al suo racconto, Catilina incominciò a tessere una fitta trama di rapporti con tutti i rappresentanti delusi della società romana. Possiamo senz?altro dire che il suo tentativo insurrezionale era trasversale, implicando la complicità di esponenti di tutte le classi sociali. C?erano rappresentanti del ceto senatorio, dell?ordine equestre, del partito popolare e infine diversi nobili più o meno decaduti. Tutti attirati come mosche sul miele dalla prospettiva di ricchi bottini e di importanti incarichi politici, tutti accomunati da uno stato di momentanea indigenza o semplicemente di?noia. Non furono pochi i giovani che si fecero attirare nella rete per puro spirito di avventura, solo per il gusto di smuovere un po? le acque movimentando così un?esistenza altrimenti uggiosa.
Sallustio ci dice che Catilina era anche dotato di una buona oratoria, capace di galvanizzare gli animi e di trasformare uomini attempati e giovanotti senza né arte né parte in una gioiosa ed incosciente macchina da guerra. Si parla anche di curiosi riti, di coppe piene di vino misto a sangue umano fatte bere ai congiurati, di cerimonie solenni di giuramento e quant?altro. Certo, Catilina doveva avere una particolare predilezione per gli aspetti coreografici, da sempre essenziali per impressionare le menti semplici degli ignoranti.
In tutta questa, in apparenza perfetta, organizzazione pseudo carbonara, c?era però, come succede inevitabilmente in questi casi, il classico anello debole della catena: si chiamava Quinto Curio. Costui, a quanto ci dice Sallustio, era un uomo di illustri natali, ma con la fama di poco di buono, inaffidabile e ciarliero. Curio, mentre si divertiva con la sua amante Fulvia, una nobilastra in cerca di emozioni forti, le spiattellò tutto quello che stava bollendo in pentola. Alla ragazzotta, abile di lingua come lo era con altri attributi, non parve vero di andare a spifferare ai quattro venti (o sarebbe meglio dire?ai quattro letti) quello che l?alcova gli aveva rivelato. Fu così che, in men che non si dica, la voce si sparse per tutta Roma, fino ad arrivare allo stesso Cicerone ben pronto a recepire e a rielaborare da par suo quanto gli era giunto alle orecchie. Catilina, rendendosi conto che il suo piano tramato nell?ombra era ormai da considerare un segreto di Pulcinella, perso per perso mandò una banda di sicari a casa di Cicerone con il chiaro intento di accopparlo. Nell?occasione l?avvocato di Arpino venne salvato proprio dallo stesso Curio che fece in modo di avvertirlo qualche attimo prima. In questo modo i sicari, che già si pregustavano un bell?eccidio, dovettero tornarsene a casa con tanto di pive nel sacco.

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Di Redazione Elzeviro.eu

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