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Atlantide e Antico Egitto – La soluzione dell’enigma è vicina (Parte I)

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Parte I

Da secoli gli storici e gli studiosi di tutto il mondo cercano, senza averla ancora trovata, la verità sull’origine della storia dell’umanità e sulla presunta esistenza di civiltà antichissime precedenti a quelle a noi note. Di queste civiltà misteriose non si è ancora trovata traccia o meglio, ci si ostina a non dare il giusto peso a indizi o prove, a seconda della prospettiva da cui le guardiamo, che potrebbero gettare un fascio di luce nell’oscurità che ancora ricopre il nostro più remoto passato. Una cosa è certa: la ricostruzione storica che finora gli studiosi ufficiali hanno fornito non convince per molteplici motivi, primo fra tutti il sorgere improvviso e per questo inspiegabile della civiltà su un contesto apparentemente ancora gravato dalla rudimentalità e imperfezione propria del periodo Neolitico. Una civiltà che avrebbe operato un salto quantico e inspiegabile rispetto al normale flusso degli eventi e del progresso che ci si sarebbe aspettati. In secondo luogo la constatazione di inequivocabili vicinanze, parallelismi e similitudini tra civiltà differenti e in apparenza inesorabilmente distanti sembra comprovare un’origine comune e precedente che sarebbe servita da detonatore e da agente scatenante del fenomeno della civilizzazione in differenti parti del pianeta.

La civiltà egizia a questo riguardo è quella che desta le maggiori perplessità perché è quella più gravida di quesiti irrisolti e più inspiegabile se confrontata con i normali schemi del progredire lineare della storia. Una civiltà che non solo occhieggia a quella del centro America, ma che non avrebbe senso se inserita brutalmente e “sic et simpliter” nell’alveo rassicurante del Tardo Neolitico. Si è sempre parlato dell’esistenza di una più antica civiltà che si sarebbe innestata a sua volta, travasandone in toto le sue conoscenze, su quella egizia che di questa ne sarebbe quindi in parte figlia ed erede al tempo stesso. A questo riguardo i testi che gli antichi Egizi conservarono con cura parlano chiaro e ci forniscono una ricostruzione storica sicuramente più razionale, una ricostruzione che sembra riempire perfettamente quel buco nero sul quale gli storici allineati hanno allegramente sorvolato negandone addirittura l’esistenza.

Nel testo scritto dal sacerdote Manetone vissuto nel terzo secolo prima di Cristo all’epoca del faraone Tolomeo I, a noi pervenuto grazie alla traduzione dello storico Sincello ( vissuto tra il 760 e l’846 d.C.) si parla di una lunghissima storia dell’Egitto, storia che si riaggancerebbe ad un primo periodo molto remoto, dominato dagli dei, chiamato Zep Tepi. Fu in quel remoto inizio che la civiltà egizia, secondo la testimonianza dei suoi sacerdoti, seppe trovare il suo “incipit” grazie all’apporto scientifico proprio di questi misteriosi dei. Primi fra tutti il dio Thot il dio della scrittura e della magia che iniziò il genere umano ai misteri dell’astronomia, Osiride il dio che governava sia sulla terra che nel cielo, che insegnò agli uomini l’agricoltura dando loro anche un codice di leggi, e Iside dotata di un tremendo potere nell’uso magico della parola. Dal testo in questione quindi la storia egizia sarebbe molto più vecchia, parliamo di parecchi millenni (Manetone parla di 30.544 anni per l’esattezza), rispetto a quella ufficiale e “ufficiosa” sulla quale si sono attestati gli esponenti della scienza tradizionale. Ad un primo periodo cosiddetto degli dei, durato 13.900 anni sarebbe succeduto il periodo caratterizzato dal dominio regale dei cosiddetti “semi dei” a cui sarebbero succeduti diversi periodi retti da sovrani umani, l’ultimo dei quali della durata di 5813 anni avrebbe visto l’Egitto retto da quelli che vengono chiamati i “Seguaci di Horus”. Dopo questo avrebbe avuto inizio quello che gli storici hanno chiamato periodo dinastico. Cronologia che trova una sua piena conferma anche dal Papiro di Torino risalente al 1500 a.C.

Un’altra fonte preziosa a questo riguardo è quella offerta dal “Padre della storia” ovvero Erodoto di Alicarnasso nelle sue “Storie” scritte nel V secolo a. C. Lo scrittore greco si recò personalmente in Egitto e lì raccolse le testimonianze utili non solo per la descrizione del paese ma anche per la ricostruzione della storia dell’Egitto. Ebbene, secondo la testimonianza degli stessi sacerdoti egizi con cui Erodoto ebbe lunghi e ripetuti colloqui, tra l’epoca in cui visse il primo sovrano dell’Egitto e l’invasione del paese ad opera del re assiro Sennacherib, ( nel VII sec a.C. ca) ci sarebbe stato un lasso di tempo pari a circa 11.000 anni.

Che le cose possano essere andate proprio come sostengono queste fonti storiche ce lo potrebbe suggerire la logica e il buon senso, a meno di non tacciare gli antichi compilatori dei suddetti testi e gli stessi Manetone ed Erodoto, di mala fede o per lo meno di facile suggestionabilità. Caratteristiche che, come sappiamo molto bene, non appartenevano tradizionalmente alla civiltà egizia, spesso anzi, quasi eccessivamente precisa e pignola nelle sue realizzazioni architettoniche ma anche nella ricostruzione dei loro “miti” e delle loro tradizioni. Quegli stessi egizi che, quando si trattava di parlare del loro passato, erano ben poco inclini alla celia e allo scherzo, presi come erano dal rispetto per la sublimità delle loro origini ma anche dal timore reverenziale nei confronti dei loro stessi dei, tanto da accostarli, con calcoli molto precisi, alle costellazioni presenti, allora come oggi, nei loro cieli.

Ma, oltre al buon senso e alle prove scritte, esistono anche precisi indizi archeologici che sembrano andare proprio in questa direzione. In primis la collocazione dell’intero sito della piana di Giza in un più ampio progetto che vede, stando a quanto hanno sostenuto gli studiosi Bauval e Hancock, la disposizione dei monumenti non operata in modo casuale, come sostengono a spada tratta gli egittologi, ma studiata in modo da riproporre in terra un preciso schema celeste. I monumenti in questione sarebbero la fotografia del cielo egizio così come compariva nel 10.500 avanti Cristo, con le tre piramidi di Cheope, Chefren e Micerino posizionate come le tre stelle della Cintura di Orione. Che cosa intendessero comunicarci gli antichi Egizi con questo non lo sappiamo, ma di certo quella data non doveva essere loro estranea se su quella si sono basati nel costruire il loro ciclopico insieme monumentale.

La stessa Sfinge, corpo di leone e con una testa, sembra, inspiegabilmente sproporzionata e probabilmente aggiunta successivamente nel periodo dinastico, sempre secondo Bauval e Hancock, sarebbe stata orientata in modo da guardare la costellazione del leone mentre sorgeva a est il giorno dell’equinozio di primavera sempre del 10.500 aventi Cristo. Sullo stesso monumento precisi studi geologici condotti dal geologo Robert Schoch dell’Università di Boston, insieme allo studioso non allineato John West, hanno dimostrato in modo scientifico l’esistenza sul monumento di precise e inequivocabili tracce di erosione pluviale possibile solo in seguito a prolungate e plurisecolari precipitazioni: Questo evento si sarebbe verificato non dopo il sei sette mila avanti Cristo o addirittura molto prima, riaccordandoci di nuovo alla data del 10.000 circa avanti Cristo.

Oltre a questi già abbondanti indizi, quasi prove, abbiamo un altra fonte preziosa, consultata e interpretata a più riprese ma finora presa in considerazione in modo molto relativo perché ovviamente non concordante con la faticosa ricostruzione della storia fatta dagli storici e dagli archeologi ufficiali: si tratta del “Timeo” e del “Crizia”, scritti dal filosofo Platone nel IV secolo avanti Cristo.

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Di Roberto Crudelini

Nato nel 1957. Laureato in Giurisprudenza, ha collaborato con Radio Blu Sat 2000 come autore e sceneggiatore dei Giornali Radio Storici, ha pubblicato "Figli di una lupa minore" con Rubettino, "Veni, vidi, vici" e "Buona notte ai senatori" con Europa Edizioni e "Dai fasti dell' impero all'impero nefasto" con CET: Casa Editrice Torinese. Collabora con Elzeviro.eu fin dalla sua fondazione, nel 2011.

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