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Capitolo II (Parte Terza) – Il mostro a tre teste

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di Roberto Crudelini
Ovvero come tre amici?ben all?interno di ogni sospetto si spartirono un impero con il senato ed il popolo di Roma a?fare da spettatori.
In una successiva seduta al senato, presente lo stesso Catilina, gran faccia tosta, Cicerone pronunciò un?orazione che restò negli annali della storia di Roma. “Fino a quando Catilina abuserai della nostra pazienza?” fu l?esordio del grande oratore mentre il “golpista” se ne stava isolato dal resto dei senatori con sguardo basso e cupo a sentire le violente accuse che gli venivano mosse. L?arpinate mise a nudo davanti ad una curia esterrefatta tutte le canagliate che Catilina stava per compiere ai danni dello stato. In seguito a questo discorso e a ben altri tre successivi, Catilina venne dichiarato dal senato nemico pubblico e alla fine fu costretto a fuggire per non correre il rischio di essere arrestato o, peggio, lapidato dalla folla nel frattempo sapientemente riportata sulla giusta strada dalla propaganda senatoriale.
Mentre una buona parte dei congiurati, ormai scoperti, venivano passati a fil di spada senza processo, a Catilina non restò altro da fare che recarsi in Etruria, vero e proprio epicentro della rivolta, dove si stavano concentrando i complici scampati alla reazione del senato. Tutta questa incredibile vicenda ebbe il suo epilogo all?inizio dell?anno 62 a.C. quando un esercito consolare sbaragliò le forze golpiste nei pressi di Pistoia. Catilina nell?occasione dimostrò comunque di avere del coraggio oltre ad una certa dose di coerenza: vista la mala parata, invece di fuggire, si fece ammazzare spada in mano insieme ai suoi amici.
Finito il pericolo a Roma la vita politica riprese con tutte le sue contraddizioni, i contrasti e la solita infinita serie di ribaltoni. Questa volta, grazie anche a Catilina ed alla susseguente ondata di sdegno che la sua congiura aveva provocato, si era rafforzato il partito oligarchico dominato da due pezzi da novanta della vita politica di allora: Cicerone e Catone junior. Nessuno aveva però fatto i conti con i tre, altrettanto grandi esponenti del partito avverso: Pompeo, Crasso e Cesare. Questi, nel 60 a.C. fecero comunella fra loro firmando un accordo privato in funzione antisenatoriale. In pratica i tre stavano mettendo le basi per il raggiungimento di quelli che erano i loro personali obbiettivi politici. Crasso per modificare in meglio la condizione dei pubblicani (addetti al rastrellamento delle tasse per conto del fisco) fortemente a lui legati, che erano assoggettati ad un contratto di appalto per le province d?Oriente troppo oneroso. Pompeo per avere finalmente quella ratifica ufficiale dei risultati militari e diplomatici da lui ottenuti in Medio Oriente e per ottenere terre per i suoi veterani. Cesare per arrivare a quel consolato che gli avrebbe permesso finalmente di entrare nella stanza dei bottoni e di non uscirne più. La storia avrebbe chiamato quella sorta di abboccamento al bar Primo Triumvirato. I tre, nell?occasione, si erano mossi con maggiore furbizia rispetto a Catilina, senza andare esplicitamente contro lo stato, avevano deciso semplicemente di?narcotizzarlo.
Simpatiche e vagamente ironiche furono le parole del testo firmato dai tra amiconi, nel quale in pratica i nostri galantuomini si accordavano per portare avanti una politica comune in modo che “nulla accadesse nella Repubblica che spiacesse ad uno dei tre” Lo scrittore contemporaneo Terenzio Varrone, riferendosi al triumvirato appena sorto, disse che a Roma era nata “una strana creatura a tre teste” . Appunto tre teste pensanti ma?unite nel corpo.
Fu così che, senza colpo ferire, Cesare riuscì ad ottenere l?ambito consolato nel 59 a.C.; ricordandosi dei suoi impegni, fece subito approvare due leggi: una che distribuiva l?agro pubblico della Campania ai veterani di Pompeo ed alle famiglie numerose con reddito basso, l?altra che riduceva il prezzo dell?appalto ai pubblicani tanto cari a Crasso. Cesare fece in modo che altre terre venissero comprate dando fondo ai soldi accumulati dal pubblico erario durante le campagne di Pompeo. In questo modo poté sfamare nuove bocche, senza dover ricorrere alle sempre antipatiche espropriazioni e quindi senza crearsi eccessivi odi tra i grandi proprietari. Il suo grande capolavoro fu però quello dell?ottenimento del comando proconsolare per cinque anni nell?Illirico, nella Gallia Cisalpina ed in seguito nella Gallia Narbonese. A corollario dell?incarico, Cesare poté mettere le mani su ben quattro legioni, legioni che, come vedremo in seguito, non avrebbe più mollato. A pretesto di tutta questa mobilitazione, il novello console aveva denunciato una situazione di presunto pericolo rappresentato dai movimenti di alcune turbolente tribù celtiche nella Gallia non romana.
Nel 58 a.C., dopo che Cesare era partito alla volta delle Gallie, a Roma un certo Publio Clodio Pulcro, aristocratico illuminato, eletto tribuno della plebe grazie all?interessamento dello stesso Cesare, pensò di movimentare di nuovo la vita politica della capitale. Qualche anno prima per la verità il nostro Clodio era stato al centro di un clamoroso caso, di quelli che oggi farebbero la fortuna di certe riviste scandalistiche. Una sera questo giovane intraprendente era stato beccato in flagrante mentre, travestito da donna, si stava introducendo nella camera dell?allora moglie di Cesare, Pompea. E? inutile dire che tra i due era in atto da parecchio tempo una bella relazione clandestina, nonostante la rigida sorveglianza da parte del gineceo cesariano. In questo caso poi il rischio, lungi dall?allontanare i fedifraghi, dovette contribuire ad aizzarne ancora di più i sensi. Sta di fatto che il nostro, conciato e truccato come una provocante fanciulla, venne scoperto da un?ancella mentre in casa si festeggiava la dea Bona (un nome un programma) protettrice delle virtù femminili!? Lo scandalo fu enorme: il cornificatore di Cesare venne processato con l?accusa di empietà, infatti oltre a Cesare il giovane, per sua somma sfortuna, aveva inavvertitamente offeso anche la dea di cui sopra rovinandone la festa. Alla fine tanto fumo non diede?l?arrosto che ci si attendeva: Cesare, per evitare di passare per pubblico cornuto, quando arrivò il momento di deporre davanti all?autorità, negò ogni addebito alla disinvolta mogliettina. Fu così che per ragioni di bieca opportunità politica, l?incauto amante venne assolto con formula piena e perdonato per la sua marachella.
Diventato in seguito (potenza della politica!) amico e confidente proprio di Cesare, riuscì come sua pedina a diventare appunto tribuno della plebe e, in tal veste, a far approvare una legge che per poco non scatenò una nuova guerra civile. La cosa che saltava maggiormente all?occhio in questo provvedimento legislativo era che da quel momento in avanti veniva considerato reato condannabile con l?esilio l?aver mandato a morte cittadini romani senza processo. Ovvia l?allusione neanche tanto indiretta a Cicerone che, approfittando del senatus consultum ultimum datogli dalla curia, aveva fatto scannare senza processo tutti i congiurati di Catilina che gli erano capitati a tiro. Purtroppo per Cicerone, la legge di Clodio comminava a sua volta l?esilio ai suoi trasgressori, e siccome la legge aveva, manco a farlo apposta, un effetto retroattivo, l?avvocato di Arpino dovette fare le valigie e andare a smaltire la sua rabbia in Grecia. Ma i dispetti di Clodio, in veste di fantoccio di Cesare, non finivano lì: con la stessa legge era di nuovo stata ammessa la distribuzione gratuita di grano al popolo, veniva rafforzato il potere delle assemblee popolari e infine veniva riconosciuta dignità giuridica ai collegi professionali, nelle cui fila era affluita una gran quantità di professionisti, artigiani e commercianti di Roma. Se il riconoscimento di tali associazioni di quartiere aveva un?apparente e lodevole motivazione religiosa oltre che commerciale, in pratica tali conventicole finivano per essere spesso la copertura di vere e proprie associazioni paramilitari. Clodio, e con lui Cesare, in questo modo riuscì a circondarsi di un esercito di bravacci, una sorta di polizia privata pronta ad intervenire su commissione per punire la tracotanza degli avversari politici più irriducibili.
I senatori, dopo essersi accorti di essere stati gabbati a dovere, non rimasero a loro volta con le mani in mano ma, con l?aiuto di Milone, un nobile non meno violento e demagogico di Clodio, organizzarono, a loro volta, una milizia da contrapporre alla prima. Iniziò così un lungo periodo di tafferugli e disordini, botte da orbi da una parte e dall?altra, senza esclusione di colpi. Le cose andarono avanti così fino a quando Milone non riuscì con i suoi ad accoppare Clodio e la sua scorta. Nonostante il successivo esilio di Milone, chiesto a furor di popolo, il senato sembrò sul punto di riacquistare tutto il suo antico potere ma, come in seguito fu confermato dai fatti, si sarebbe trattato solo dell?ultimo canto del cigno.
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Di Redazione Elzeviro.eu

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