Uno studio svedese e uno americano hanno riscontrato alcuni dati interessanti per la ricerca contro l’Alzheimer: la misurazione del livello di proteina p-tau217 nel sangue potrebbe far individuare la malattia prima ancora che si manifestino gli effetti sul cervello dei pazienti.
In futuro la diagnosi potrebbe essere più rapida
Invece che confrontare test di memoria e analisi celebrali, basterebbe la prescrizione di un semplice prelievo del sangue. A validare questa ipotesi sono due studi portati avanti da altrettante Università. Parliamo della Lund University in Svezia e della Washington School of Medicine negli USA. I risultati di tali studi sono stati pubblicati rispettivamente su Jama e sul Journal of Experimental Medicine. Il test della p-tau217 avrebbe un’accuratezza del 96%.
Un settore complicato
Ricordiamo che al giorno d’oggi non esiste una cura per l’Alzheimer. Inoltre, per via degli scarsi risultati ottenuti nel corso degli ultimi decenni, alcuni grandi industrie farmaceutiche si sono trovate costrette ad abbandonare il settore a causa degli ingenti finanziamenti a vuoto. Da tempo ricercatori stanno investigando un modo per diagnosticare precocemente la malattia attraverso l’individuazione di biomarcatori.
L’obiettivo principale delle ricerche è proprio quello di trovare dei segni della demenza prima ancora che si manifestino nel paziente. In questo modo si eviterebbero irrimediabili danneggiamenti cerebrali. Perciò, se il test del sangue desse effettivamente risultati soddisfacenti, sarebbe una grande conquista per questo settore. Potremmo trovarci a un punto di svolta.
Perchè proprio la proteina p-tau217?
Secondo i dati raccolti dalle analisi del sangue effettuate in occasione degli studi in questione, i pazienti affetti da Alzheimer presenterebbero livelli particolarmente alti di p-tau217 nel sangue. Valori che possono essere riscontrati già molti anni prima della manifestazione dei sintomi. Secondo i ricercatori, la proteina fornirebbe un quadro delle condizioni del paziente equivalente a quello ottenuto con una scansione cerebrale. Inoltre, l’analisi di questo parametro permetterebbe la distinzione tra l’Alzheimer e altre condizioni neurodegenerative in quanto strettamente caratteristica.
Un ottimo risultato, ma restiamo con i piedi per terra
I risultati dei due studi sono sicuramente rassicuranti, tuttavia occorrerà del tempo prima che il test possa essere implementato nella pratica clinica. Saranno necessari ulteriori studi a validare questi risultati. E anche una volta implementato, non ci sarà la certezza di avere una cura contro la malattia al momento della diagnosi. Chi vorrebbe sapere con anni di anticipo di essere condannato a una malattia neurodegenerativa, consapevole della mancanza di trattamenti efficaci contro di essa?
Per il momento l’applicazione del test ha maggiore rilevanza in ambito di ricerca. Soggetti che hanno una storia familiare con la malattia potrebbero, infatti, sottoporsi al test consentendo ai medici di trovare metodi efficaci per bloccare o almeno ritardare le manifestazioni della neurodegenerazione.
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