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Oggetti impossibili o…possibili bufale?

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Nel Museo di Istambul esiste un oggettino piccolo ma molto “impertinente” che raffigura una sorta di viaggiatore, purtroppo senza testa, accucciato all’interno di quello che sembra una sorta di velivolo spaziale monoposto. Tale oggetto che probabilmente era destinato a rimanere rincantucciato per chissà quanto tempo in un angolo dell’immenso museo turco, venne notato per la prima volta dal ricercatore Zaccaria Sitchin, famoso per le sue teorie sull’origine aliena dell’umanità. Secondo quanto originariamente si pensava dello stranissimo oggetto, esso sarebbe stato scoperto nel 1975 nel sito archeologico di Tuspa Toprakkale e sarebbe risalito all’incirca al periodo compreso tra il nono e il settimo secolo prima di Cristo, periodo in cui ebbe il suo sviluppo e affermazione l’antica civiltà di Urartu nei pressi del lago di Van.

Un oggetto che appare in tutta la sua assurdità, perché è indubbio che, qualsiasi cosa esso voglia rappresentare, quel qual cosa non poteva esistere a quell’epoca, almeno secondo i canoni ufficiali della storia. Tale oggetto, oltre ad essere utilizzato dal ricercatore russo di cui sopra, è stato, tra le altre cose, menzionato anche da Mauro Biglino nel suo libro: “Il Dio alieno della Bibbia“. Ora secondo quanto trionfalmente riportato, in data 18 ottobre 2012, sul sito inernet “Mistero risolto” tale oggetto, oltre a non essere mai stato in verità scoperto all’interno del sito di Urartu, si sarebbe svelato come una clamorosa bufala ben congegnata.

Secondo quanto si sostiene nel sito internet in questione, in cui, va detto, ci si permette in modo offensivo di dare dello “pseudoscienziato” allo stesso Sitchin, si riferisce che, a seguito dell’esame petrografico effettuato nel 2003 si richiesta del Ministero Turco della Cultura, il reperto in questione sarebbe risultato un clamoroso falso. In realtà la statuetta sarebbe costituita da una mistura di polvere di marmo e gesso risalente ad appena 25 anni prima, ovvero all’epoca insomma dei mondiali di calcio in Argentina. Nello stesso articolo viene anche aggiunto che si è “propensi a credere”, non si sa bene sulla base di quali prove, che l’oggetto sia stato donato al museo da un non ben identificato commerciante del luogo che lo aveva a suo tempo recuperato in qualche modo.

Il sottoscritto, da perfetto non addetto ai lavori, è andato a documentarsi sull’analisi petrografica e ha potuto constatare che la definizione di Petrografia è: “Scienza che studia, discerne e classifica sistematicamente le rocce in quanto aggregati di minerali indagandone la natura chimica e mineralogica (Petrochimica), la genesi e le trasformazioni” (Wikipedia). Ora mi sembra evidente e intuitivo che non bisogna confondere l’età anagrafica dei minerali in questione, risalenti a precise ere geologiche della Terra, con quella dell’effettiva loro lavorazione, trasformazione e aggregazione. Dall’articolo in questione non è ben chiaro a quale di queste datazioni ci si riferisce. E’ ovvio che se ci riferiamo all’età originale delle pietre in questione, non solo risaliamo a trent’anni fa ma siamo destinati a risalire a centinaia di migliaia di anni addietro, ovvero ad una delle tante ere della geologia terrestre in cui si formarono i singoli elementi primari della mistura in esame, cronologia che ovviamente non ci può aiutare nella datazione dell’oggetto in questione. Se invece ci riferiamo alla datazione della lavorazione e dell’aggregazione, in questo caso, del gesso e della polvere di marmo, allora appare altrettanto evidente che anche in questo caso qualcosa non ci torna. E sì perché allora, verrebbe da chiedersi, come mai tale metodo, visto che è così semplice e preciso, non sia mai stato utilizzato ad esempio per datare i milioni di blocchi delle Piramidi di Giza per scoprire una volta per tutte, il mistero della data della loro costruzione?

Da una vita la Scienza ci dice che se da un lato è possibile risalire alla datazione di un oggetto organico a causa della presenza degli isotopi radioattivi del carbonio, tale operazione, viceversa non sarebbe possibile in presenza di materiale inorganico anche perché, se fosse vero il contrario, in questo caso avremmo risolto i moltissimi problemi di datazione dell’Archeologia moderna.

Bisogna anche aggiungere che il cosiddetto “astronauta di Istambul” non è l’unico oggetto anomalo di questo genere in circolazione, essendo solo una delle tante, tantissime testimonianze esistenti e, aggiungiamo noi, coerenti fra di loro, che la storia umana ha forse avuto una genesi differente da quella tranquillizzante che gli abbiamo finora dato.

Il sottoscritto non sostiene a spada tratta l’assoluta autenticità dell’oggetto in questione, ma soltanto la necessità di provare in modo scientifico e sostenibile che esso non è attendibile, un’inversione della prova secondo me necessaria almeno se si vuole a tutti i costi dare del “millantatore” a chi sta solo cercando delle risposte alternative alla domanda su chi siamo e che ci facciamo su questa sperduta roccia all’interno di una altrettanto sperduta Galassia dell’Universo. 

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Di Roberto Crudelini

Nato nel 1957. Laureato in Giurisprudenza, ha collaborato con Radio Blu Sat 2000 come autore e sceneggiatore dei Giornali Radio Storici, ha pubblicato "Figli di una lupa minore" con Rubettino, "Veni, vidi, vici" e "Buona notte ai senatori" con Europa Edizioni e "Dai fasti dell' impero all'impero nefasto" con CET: Casa Editrice Torinese. Collabora con Elzeviro.eu fin dalla sua fondazione, nel 2011.

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