Una giornalista del New York Times che ha vissuto sei mesi come studentessa a Firenze, scrive,
Cinque anni fa mi hanno lanciato addosso della birra. Cinque anni fa mi hanno chiamata nera disgustosa. Cinque anni fa sono stata evitata, ignorata e derisa. Cinque anni fa un Paese mi ha portato a odiare me stessa.
Interessante questo sfogo semplicistico e tardivo, che non analizza le conseguenze, da parte di un megafono privilegiato quale quello del NYT.
La signorina ha avuto un subitaneo riacquisto della memoria, descrivendo come sia stata vittima di episodi di razzismo ed addirittura abbia subito il lancio di birra sul volto a cagione del colore della sua pelle. Ebbene, un episodio del genere, in Italia, paese non razzista, avrebbe avuto delle conseguenze: pertanto la signorina avrebbe dovuto denunciare il fatto sull’istante alle Forze dell’Ordine; così non è stato.
Firenze è una città aperta e tollerante, ragionevole e bellissima: perché la signorina non adduce delle prove ad una tale dichiarazione? Un tale trafiletto ha la stessa importanza, senza prove o testimoni, di una rubrica di posta rosa.
Eppure il circo massmediatico si è messo in moto, ella vi è saltata in groppa ed ormai è venerata quale eroina, nella lotta contro gli sporchi e cattivi italiani, i quali, ça va sans dire, odiano i neri. Ella fa pubblicità personale sulle spalle (e sulla pelle) della città culla del Risorgimento.
Come può non sovvenire dunque la questione che la giornalista (forse sarebbe più adatto definirla blogger) non si sia inventata la storiella per ottenere desiata notorietà, comparsate televisive ben retribuite, eccetera? Sicché alla fin fine, è sempre una questione di soldi, e poco importa dell’immagine del paese che aveva scelto per studiarvi.