Meno di 300 chilometri in linea d’aria: tanto è la distanza che separa il Comune di Mazara del Vallo dalla capitale Tunisi. Nel mezzo il Canale di Sicilia a segnare il confine marittimo tra l’Italia e la Tunisia, Paese che fu nei tempi antichi patria di Annibale e di quella civiltà cartaginese che sfidò, e per poco non vinse, la nascente potenza di Roma.
Tunisi e la Sicilia sono più vicine di Roma e Milano, per dire. Questo a sottolineare come le vicende dell’ex protettorato francese dovrebbero interessarci eccome e per diversi fattori: geopolitici, commerciali e securitari.
Sconcerta come una simile scarsa attenzione mediatica sia stata riservata alle recenti elezioni in Tunisia, la più giovane tra le democrazie nordafricane. In quella che fu l’antica Cartagine si sono appena svolti due importantissimi appuntamenti elettorali per il futuro del Paese: le elezioni presidenziali e quelle legislative.
Entrambe le occasioni
hanno dato un risultato piuttosto eloquente: la bocciatura della classe politica del Paese nata dopo il 2011. Emblematico in tal senso è stato il risultato delle presidenziali, che hanno portato al Palazzo di Cartagine un vero e proprio illustre sconosciuto: il professor Kais Saied. Soprannominato “Robocop” per la sua posa e cadenza inespressiva, quasi statuaria, questo docente era conosciuto in ambito accademico, ma dal nulla è riuscito a conquistarsi un intero Paese.
Difficile tuttavia credere che un signor nessuno abbia potuto in solitudine affrontare e vincere un’elezione complicata come quella presidenziale, oltretutto dopo la recente dipartita dell’ex Presidente, rispettatissimo dalla popolazione, Beji Essebsi. Eppure il vuoto politico è stato colmato subito. Qualcuno sostiene che Kais sia stato aiutato internamente dal partito islamista Ennahda e esternamente dal Qatar, un Paese che ha sempre protetto e finanziato il movimento dei Fratelli Musulmani, cui proprio Ennahda sembra essere legato.
Ed è proprio quest’ultimo partito
ad essere invece uscito vincitore dalle elezioni legislative. In Parlamento però il partito islamico dovrà cercare appoggi esterni per formare una maggioranza solida e il nuovo Governo si dovrebbe così insediare entro la metà di novembre, previo il benestare del nuovo Presidente della Repubblica. Come dicevamo la vittoria inaspettata di Kais rappresenta lo schiaffo dei tunisini alla classe politica post Primavera araba, testimoniando così come l’occidente abbia ancora una volta troppo entusiasticamente appoggiato una transizione democratica in realtà più complicata del previsto.
Rappresentazione plastica dell’ingenuità occidentale nel comprendere le dinamiche politiche del mondo arabo e nordafricano è poi l’affluenza alle urne in Tunisia, dove per le presidenziali è stata piuttosto elevata, mentre molto bassa (appena il 41%) per le legislative. Un segnale abbastanza chiaro sul valore che ancora possiede la singola persona, il leader, in Tunisia. Ad ogni modo il nuovo esecutivo non potrà che avere una forte svolta conservatrice, in senso religioso, considerate le posizioni di Ennahda e quelle del nuovo coinquilino del Palazzo di Cartagine.
Niente riforma quindi del sistema ereditario
che prevede ancora una forte disparità di trattamento tra uomo e donna, nessuna depenalizzazione dell’omosessualità (tuttora un reato in Tunisia), oltre a un rispetto pubblicamente più rigido dei precetti dell’Islam sunnita. Tutto questo contorno deve poi fare i conti con un contesto socioeconomico in piena crisi, per cui costo della vita e tasso di disoccupazione giovanile stanno crescendo a ritmi preoccupanti. Una crisi su cui pesa l’instabilità politica dei Paesi vicini, Algeria e Libia su tutti. Ma non solo.
La congiuntura economica sfavorevole è stata affrontata dalla Tunisia seguendo i dettami del Fondo Monetario Internazionale e quindi riducendo la spesa pubblica, privatizzando alcuni servizi e tagliando ove possibile. Un atteggiamento accondiscendente che non sembra essere stato abbandonato dal nuovo Presidente Kais che ha già messo sul tavolo una proposta ultra austerity: la rinuncia da parte dei dipendenti pubblici ad una o più giornate di lavoro retribuito per rimpinguare le tasse dello Stato. In pratica lavorare gratis.
La Tunisia sta dunque affrontando una crisi
di notevole portata e il silenzio mediatico, ma soprattutto politico italiano risulta del tutto fuori luogo. La Tunisia è per noi una porta secondaria d’ingresso per la Libia. Di nazionalità tunisina sono il maggior numero di immigrati che arrivano in Italia. Infine, l’Italia si gioca con la Francia il primato di partner commerciale privilegiato della Tunisia. Insomma, si tratta di un Paese chiave per il futuro italiano e per la sua collocazione geopolitica. E una svolta islamista unita ad una crisi economica senza precedenti è un problema anche italiano.