“Che se ne andassero a fare in culo”, dito medio, “Obama è un figlio di…”, “L’Onu è un’organizzazione inutile”, “Ban Ki Moon sei uno stupido“.
Tutto questo è Rodrigo Duterte, presidente delle Filippine dallo scorso 30 giugno 2016.
Accuse dirette, modi spicci, bruschi e senza mezze misure hanno messo in moto tutta la cricca dei media occidentali, insieme alle organizzazioni non governative e le più alte istituzioni internazionali. Il presidente eletto con una maggioranza schiacciante, 40% delle preferenze, ha subito l’accusa di mancato rispetto dei diritti umani dall’Onu, da Barack Obama, Human Rights Watch, Amnesty International e dulcis in fundo dall’Unione europea.
Il fatto è che Duterte, meglio conosciuto come “The punisher”, non ha mai negato tali accuse, anzi anche durante la campagna elettorale che lo incoronato presidente, ha sempre esposto in maniera chiara e netta la sua strategia nella battaglia contro il narcotraffico: “ucciderli tutti”. Una strategia che è stata appoggiata in toto dalla popolazione, la quale ha deciso di affidare il difficile ruolo di presidente all’uscente sindaco di Davao.
Le principali testate nazionali ed europee, su tutte Repubblica, Corriere della Sera e Internazionale, che da giugno stanno riportando minuziosamente il conteggio delle vittime presunte fatte dalla polizia di Duterte (la polizia filippina ne ha riportate 1.105), non si sono mai prodigate con la stessa energia nel raccontare la situazione “narcotica” di quel Paese lontano dai riflettori. Nemmeno Unione Europea, Onu, Ong e Stati Uniti hanno mai messo becco nella politica interna di Manila quando questa era in mano al narcotraffico. Perché?
Le Filippine sono diventate negli ultimi anni la colonia del narcotraffico dei cartelli messicani e cinesi, che hanno commercializzato la mortale crystal meth, conosciuta nelle Filippine con il nome di shaboo. Si tratta di un tipo di metanfetamina potentissima che, prima dell’insediamento di Duterte era presente nel 90% dei quartieri di Manila. Gli stessi accusatori di Duterte si sono dimenticati negli ultimi anni di denunciare che 1,7 milioni di filippini fossero abituali consumatori di droga e che il fatturato annuo dei narcotrafficanti avesse raggiunto la cifra record di 8.4 miliardi di dollari. Duterte non rispetta l’iter giudiziario di un normale paese di diritto? E’ vero, ma d’altra parte con un simile movimento di droga e la conseguente corruzione le Filippine non erano più de facto un paese di diritto.
Duterte sta semplicemente esercitando il potere che la popolazione gli ha messo con piena coscienza nella mani. Un mandato democratico che alcuni degli accusatori non hanno mai conosciuto, come Jean-Claude Juncker (presidente della Commissione europea, mai eletto dal popolo). Il dito medio all’Ue rappresenta poi quello che molti leader di Paesi europei vorrebbero fare, ma non ne hanno il coraggio.