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Israele revoca 83mila visti ai palestinesi, ma per la comunità ebraica il problema è il Mein Kampf

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Ricordiamo tali orrori affinché siano da monito per le generazioni future, in modo tale che non si ripetano più“.

Queste sono le parole che potete ascoltare da qualsiasi guida israeliana intenta ad accompagnarvi all’interno del Museo della Shoah di Gerusalemme.
Spesso infatti si è preferita la commemorazione retorica del genocidio degli ebrei europei, piuttosto che una sua attenta analisi storica. Fenomeno solo all’apparenza giustificato dall’ “atroce unicità” di quell’episodio.

In realtà scopriamo che dal 1945 in avanti il mondo ha dovuto assistere a crimini contro l’umanità della medesima portata se non più odiosi. La Giornata della Memoria non è infatti servita a impedire il genocidio in Cambogia (compiuto dagli Khmer comunisti) e nemmeno quello ruandese. Così come non ha impedito che le sanzioni Onu fossero causa della morte di “quattromila bambini al mese” in Iraq (rapporto Unicef del 1998).

Ma fatto ancor più odioso è forse che lo stesso genos vittima di quell’ “atroce unicità” si sia reso colpevole nel secolo ancora in corso di una ferocissima pulizia etnica.

Proprio questa settimana il governo Netanyahu ha deciso di revocare il permesso di entrare in Israele a più di 80mila civili palestinesi. Il motivo? Mercoledì sera due palestinesi hanno aperto il fuoco al Sarona Market di Tel Aviv uccidendo 4 israeliani. Il provvedimento Netanyahu causerà la perdita del lavoro a migliaia di palestinesi, che evidentemente necessitavano del visto per passare l’odioso check point al confine tra la West Bank e lo Stato di Israele. Così i palestinesi già costretti a sopportare quotidiane file interminabili ai controlli di confine (forse paragonabili solo a quelli effettuati tra Messico e Stati Uniti) per andare a lavorare, ora saranno costretti a trovare altre soluzioni per campare.

Eppure non una parola è stata spesa dalle comunità ebraiche presenti in Italia per distanziarsi da tale infame gesto del governo israeliano. Anzi le stesse hanno deciso di scandalizzarsi per l’uscita del libro di Adolf Hitler “Mein Kampf”, come allegato de “Il Giornale”. Renzo Gattegna, presidente dell’Unione delle comunità ebraiche in Italia lo ha definito “un fatto squallido“.

Eppure Renzo Gattegna, come molti altri ebrei, dovrebbe iniziare a studiare fonti dirette per comprendere meglio la storia. Se infatti fosse a suo agio con le fonti storiche potrebbe scoprire la testimonianza di Akiva Orr, ebreo sfuggito all’Olocausto e soldato dell’esercito israeliano nella guerra del 1948. Egli così descrisse gli avvenimenti successivi alla fine di quelle ostilità “quando i vittoriosi soldati d’Israele avanzavano da un villaggio palestinese all’altro in rapida successione, di norma circondandoli in modo da chiuderne tre lati su quattro per lasciare una sola via di fuga agli abitanti, i quali, se ne fuggivano spontaneamente poiché già terrorizzati dai racconti delle efferatezze dei gruppi terroristici ebraici più noti allora, come lo Stern o l’Irgun Tzeva’i Leumi.”, e ancora parlando di Ben Gurion (padre fondatore d’Israele) “a chi gli chiedeva cosa fare dei civili palestinesi circondati nei loro villaggi, Ben Gurion rispondeva con un singolo gesto della mano…assai eloquente.”

Renzo Gattegna dovrebbe anche venire a conoscenza di quanto detto dal leader sionista Theodore Herzl: ” Tenteremo di sospingere la popolazione (araba) in miseria oltre le frontiere procurandogli impieghi nelle nazioni di transito, mentre gli negheremo qualsiasi lavoro sulla nostra terra…Sia il processo di espropriazione che l’espulsione dei poveri devono essere condotti con discrezione e attenzione“.

Sarebbe dunque utile al genere umano che anche gli stessi ebrei iniziassero a leggere il “Mein Kampf”, forse così potrebbero accorgersi di come l’operato del loro Stato non si sia distanziato molto dai concetti espressi da Hitler.

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Di Redazione Elzeviro.eu

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