Il nuovo premier Pakistano Imran Khan, viste le crescenti, ma assolutamente insufficienti pressioni internazionali, si vocifera possa concedere una grazia a Asia Bibi, la donna cristiana condannata a morte per aver bevuto da un recipiente d’acqua riservata a soli mussulmani. Queste voci, purtroppo, sono prive di fondamento. Vediamo perché.
I silenzi più assordanti, per ora, provengono dalle Nazioni Unite e dallo stesso Papa di Roma, il personaggio più influente del mondo afferente all’ampia schiera del cristianesimo, che non si pronuncia ormai da molti mesi sulla vicenda.
Il premier del Pakistan, tuttavia, si vede stretto tra due fuochi, e forse quello che minaccia di diffondersi con più rapidità è quello interno e afferente al TLP. Il TLP (Terhreek-e-Labbaik Pakistan, letteralmente Io Sono Qui – Pakistan, frase religiosa islamica) è un partito estremista che vuole la applicazione della sharia nel paese. La sua azione politica, che si sostanzia già in alcuni seggi del parlamento, non ostante sia un partito di recente formazione (2015), è preoccupante e di crescita imperiosa.
La minaccia inverata dai leaders del partito è quella di paralizzare il Pakistan con manifestazioni e rimostranze se Asia Bibi verrà dichiarata innocente nei prossimi giorni, oppure se le alte schiere della politica interverranno per salvarle la vita.
Si ricorda anche che durante la campagna elettorale ai primordi dell’estate, l’attuale premier Khan, con un passato di giocatore di cricket e di viveur in quel di Londra, ha sostenuto veementemente la attuale legge sulla blasfemia (che incolpa Bibi) e che è sostenuta strenuamente anche dal TLP.
Nel frattempo
paesi come l’Australia elargiscono aiuti per cinquanta milioni di dollari ad Islamabad su base annua, ma ciò non stoppa l’emorragia di emigranti che si recano nei paesi occidentali, soprattutto in Europa. In Italia la maggior parte dei pakistani proviene dalla regione del Punjab e si è stabilita vieppiù nel Nord-Est del paese, prevalentemente in Friuli Venezia-Giulia. Le voci della comunità, tuttavia, non si sono levate in difesa dei diritti umani, ciò che potrebbe costituire un indizio verso la assente volontà di integrazione nel tessuto culturale occidentale da parte degli immigrati.
La scorsa settimana il marito disperato di Asia si è recato in Gran Bretagna per invocare una sensibilizzazione sulla vicenda, ma il suo intervento è stato rilanciato soltanto da testate giornalistiche minori.
Egli ha chiesto che il Regno Unito, già paese colonizzatore del Pakistan ai tempi dell’India Britannica che lo conteneva, si erga, a causa dell’internazionalità dell’isola, dotata di una propria chiesta statale e cristiana, a difesa della donna accusata di blasfemia ed in galera da ormai nove anni, la maggior parte dei quali in regime di isolamento.
Il marito ha anche rilanciato un appello affinché si preghi per Asia, che ha dichiarato che si affida a Gesù in questi complicati – e forse ultimi – momenti della sua vita.
Per un approfondimento sulla vicenda, leggi anche l’articolo: Asia Bibi rischia l’esecuzione, nel silenzio delle Nazioni Unite.