Autore: Gilberto Trombetta
Gennaro Zezza (Università di Cassino) e Sergio Cesaratto (Università di Siena) hanno pubblicato un paper – “Farsi del male da soli. Disciplina esterna, domanda aggregata e il declino economico italiano“ – che ripercorre gli ultimi 70 anni di politica economica italiana (nelle sue declinazioni fiscale, monetaria e valutaria): dal miracolo economico al declino degli ultimi decenni.
La politica fiscale è uno strumento di politica economica che consente ad uno Stato di agire sulla domanda aggregata o globale (l’insieme della richiesta di beni e servizi da parte di famiglie, imprese e settore pubblico) attraverso la spesa pubblica, l’imposizione fiscale e i trasferimenti. La politica monetaria riguarda prevalentemente il controllo dei tassi di interesse che a sua volta influenza gli aggregati monetari. La politica valutaria infine consente di agire sul valore della moneta rispetto alle altre nel mercato valutario.
I due autori hanno diviso il lungo excursus (dal 1951 a oggi) in 8 periodi (l’andamento del PIL pro capite è emblematico da questo punto di vista):
Il periodo del miracolo economico coi suoi prolungati effetti (fino alla metà degli anni 70 circa) è caratterizzato per l’uso coordinato di tutti gli strumenti di politica economica nell’azione dello Stato.
Gli obiettivi di piena occupazione venivano sostenuti dalla politica fiscale dei vari Governi – tramite una una forte spesa pubblica -, assecondata dall’azione della Banca Centrale, sia sul fronte monetario che su quello valutario (i tassi di interessi reali erano addirittura negativi).
La lira libera di fluttuare nel mercato valutario ha garantito un andamento corretto della produttività e dei prezzi rispetto ai maggiori competitor, come la Germania. E, in sostanza, l’equilibrio dei conti con l’estero (grazie all’andamento della domanda interna, spinta dalla spesa pubblica, e ad una valuta che rendeva più difficile eccedere con le importazioni).
Alcuni Governi, non ancora allineati al nuovo paradigma, hanno effettuato politiche di spesa senza però disporre più del controllo delle leve valutaria e monetaria. Gli effetti si sono visti sui conti con l’estero e sulla dinamica del debito pubblico.
Si è quindi passati ad un vincolo esterno ancora più stringente. Anzi – come già detto -, a più vincoli. E più vantaggiosi per i soliti noti (le classi più ricche internamente al Paese, la Germania sul fronte esterno). Si è passati dallo SME all’euro. Peggiorando così la situazione su tutti i fronti.
Con la combinazione di una politica fiscale restrittiva e del lento deterioramento della competitività esterna. Meno spesa pubblica, drastica diminuzione delle esportazioni, aumento delle importazioni, progressivo aumento della disoccupazione e conseguente calo dei salari.
Crollo della domanda interna che ha riportato in equilibrio la bilancia dei pagamenti con l’estero mandata in crisi proprio dall’euro e dai vincoli europei. Inoltre, alla lunga serie di vittime vanno aggiunti la capacità produttiva perduta, la disoccupazione crescente, l’emigrazione di forza lavoro nei suoi anni migliori e spesso ben istruita.
Si può quindi dire che per perseguire obiettivi di piena occupazione lo Stato deve avere a disposizione tutti gli strumenti di politica economica. Deve cioè poter controllare a piacimento il livello di spesa, la politica valutaria ed i tassi di interesse, per mantenere in equilibrio i conti con l’estero e la dinamica della spesa per gli interessi passivi sul debito.
Il vincolo esterno serve a sterilizzare l’azione dello Stato per garantire la stabilità dei prezzi, a scapito di occupazione e salari. E lo fa al riparo del processo elettorale.
Revisione ed impostazione grafica: Lorenzo Franzoni
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