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La desolazione degli stadi italiani di calcio

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Tra presidenti inetti, leggi da Azzeccagarbugli e colossi televisivi, si è creata una becera sinergia che costringe il medio tifoso italiota abbarbicato al divano di casa per vedere la propria squadra di calcio.

Non ci sono soldi qua“, “Non ne abbiamo manco di là“, la telenovela dei presidenti di serie A va ormai avanti da 3/4 anni a questa parte; non c’è dubbio che la congiuntura economica sfavorevole abbia fatto il suo, tuttavia l’assenza di una strategia a lungo termine nella maggior parte dei casi la fa da padrona.

Così ci ritroviamo ad un dato allarmante, la media degli spettatori è crollata da 30.000 e più di fine anni ’90 a soli 24.000 spettatori; il tutto esaurito all’Olimpico di Roma e a San Siro (gli stadi più capienti d’Italia) è ormai un vecchio ricordo.

Certo a fine anni ’90 c’era un altro entusiasmo intorno a questo sport, il campionato era molto più equilibrato (il periodo delle sette sorelle) e la serie A offriva campioni del calibro di Ronaldo, Vieri, Del Piero, Batistuta al massimo della loro forma. Non ci sono più campioni nel calcio? Manco per niente, semplicemente i presidenti di serie A non hanno più i soldi per accaparrarseli (ricordiamo il trasferimento di Hernan Crespo dal Parma alla Lazio nel 2000 per 110 miliardi di lire, circa 60 milioni di euro); ciò è dovuto anche alla mancanza di sufficienti introiti provenienti dallo stadio.

In contemporanea alla crisi economica si è fatta poi largo quella legge sulla “tessera del tifoso” che ha inguaiato tutti senza risolvere però il problema della sicurezza fuori e dentro lo stadio: chi non è possessore di tale tessera è costretto a fare una trafila senza fine per avere un biglietto, dato che l’acquisto on line non è consentito senza il passepartout.

Tutto questo meccanismo non è comodo per coloro che vogliono andare una tantum allo stadio, ovvero tutto quel bacino d’utenza che riempiva le strutture nei big match imperdibili, e che ora preferiscono gustarsi la partita seduti bellamente in poltrona. In Lega Calcio non esiste poi una linea guida che prenda di petto il problema, promulgando magari una legge che obblighi le società a costruire uno stadio di proprietà entro data da destinarsi (attraverso accordi bilaterali con i Comuni di competenza, così da trattare un prezzo ragionevole).

Per ora l’ha fatto solo la Juventus, il cui stadio riempie ogni domenica tutti i 40.000 posti, ma deve diventare condizione sine qua non per la permanenza in A.

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Redazione Elzeviro.eu

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