Abbiamo quindi voluto fare luce su questa vicenda che si inserisce all’interno di una complicata relazione di convivenza tra la comunità italiana in Alto Adige e le comunità germanofone che troppo spesso prendono iniziative atte a cancellare la storia italiana da quella contestata regione di confine.
Abbiamo quindi intervistato Alessandro Urzì, consigliere di Fratelli d’Italia della provincia autonoma di Bolzano.
Non è la prima volta che il movimento secessionista Sued-Tiroler Freiheit ingaggia una ridicola sfida al monumento all’Alpino di Brunico, nel passato più volte vittima di attentati, sfregi e richieste di rimozione. Già nel 2013 il partito di Sven Knoll ed Eva Klotz aveva incappucciato il monumento con un sacco di nylon nero.
Ora cercando di sfruttare pateticamente l’onda emozionale innescata dalla morte negli Stati Uniti di George Floyd ecco l’ennesima assurda richiesta di rimuovere la statua ritenuta ingenerosamente espressione dell’Italia fascista e colonialista. In realtà gli Alpini, che quel – ahimè – deturpato monumento rappresenta, vivono nel cuore di tutti gli Italiani, perché sono espressione di quella parte sana della società che ha sempre fatto della solidarietà e dell’aiuto verso chi è in difficoltà il proprio motto.
Non c’è terremoto, alluvione o altra catastrofe che non ha visto impegnate in prima linea le Penne nere che anche nella pandemia da cui a fatica stiamo uscendo hanno fatto la loro parte in primo piano, in silenzio, ma sempre a fianco della popolazione. Per questo posso affermare con sicurezza che nessuna statua all’Alpino sarà mai rimossa in Alto Adige da chi vorrebbe cambiare la storia a colpi di piccone.
Le campagne antiitaliane costituiscono il fulcro centrale dell’attività dei secessionisti di Stf e innumerevoli sono le iniziative in questo senso del movimento separatista, spesso finite anche sotto la lente d’ingrandimento della magistratura.
Le più note sono il manifesto della scopa che pretendeva di spazzare via il Tricolore, la recente campagna veramente di cattivo gusto sempre a colpi di manifesti contro i medici italiani accusati di fare morire negli ospedali i concittadini di lingua tedesca, le azioni militarmente organizzate dell’autunno scorso quando in una sola notte in più di 600 cartelli sono stati coperti i nomi delle località dell’Alto Adige con adesivi o le innumerevoli accensioni di fuochi sulle montagne con scritte inneggianti alla secessione, “via da Roma”, Tirolo unito.
Tutte queste provocazioni ci hanno indotto a tenere alta la guardia, sollecitando da parte delle Istituzioni una ferma reazione di condanna e di isolamento di questi gruppi che si schierano al di fuori dell’arco delle forze che lavorano per una serena convivenza dei tre gruppi linguistici presenti sul territorio altoatesino. Troppa è invece la compiacenza a loro riservata.
Momenti di tensione no, se si escludono le provocazioni dei soliti noti di cui abbiamo accennato prima e che sono proseguite anche nei giorni scorsi con l’installazione lungo le strade di tante località di striscioni inneggianti all’indipendenza.
Va spiegato: la politica di lingua tedesca ha diffuso l’idea che la crisi del virus sia da legare all’Italia, e quanto più ne fossimo rimasti lontani tanto più ne saremmo stati al sicuro. E allora di fronte alla chiusura rigidissima dei confini da parte di Vienna il problema non è mai stata l’Austria ma l’Italia, se si doveva tenere chiusi gli alberghi la colpa non era dei turisti tedeschi che avevano infettato l’Alto Adige (fatto riconosciuto dal primo momento) ma della vicinanza della Lombardia.
Insomma una subdola campagna antitaliana sfociata nella sfida anche istituzionale della Provincia allo Stato con l’approvazione di una legge che ha rispettato i confini alle prerogative costituzionali ed autonomistiche della Provincia. Come dire: ci regoliamo da soli, non a caso è stata letta come una campagna indipendentista alimentata dal virus.
Gli italiani in Alto Adige sono la vera minoranza (il 25% della popolazione) e ne sono consapevoli. L’Autonomia ormai è uno Stato nello Stato e governata ininterrottamente da cinquanta anni da un partito che non nasconde la sua natura etnica, tedesca, la Svp.
Lo Stato per gli Italiani è quindi visto chiaramente come un punto di riferimento, anche se sempre più lontano. Soprattutto nell’emergenza della pandemia si è evidenziato questo dualismo con la Provincia che ha disorientato i più, non solo nelle questioni pratiche, come la fine della quarantena o l’uso delle mascherine, ma anche proprio su chi veramente governi la nostra terra.
Le fughe in avanti (di sapore indipendentista) della Provincia hanno destabilizzato non poco la convivenza in Alto Adige e hanno buttato benzina sul fuoco delle rivendicazioni antitaliane alimentando le forze dichiaratamente secessioniste. Il passo verso la richiesta di abbattere il monumento all’Alpino o cancellare i nomi delle località in italiano è stato breve.
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