Un miliardario costruito dalla società più consumista che si sia mai vista, inebetita dai social network, si è autoproclamato (con beneplacito dei media, sopratutto quelli pseudo progressisti come Repubblica, proprietà: John Elkann) latore delle istanze della classe lavoratrice.
Nel suo patetico discorsetto sul palco del primo maggio, il rappresentante dei lavoratori (sic) parla di una devastante censura (che poi gli permette di dire tutto quello che vuole, nonostante una dirigente lo abbia bollato come inopportuno). Ma lui ha combattuto tanto per questo intervento (parole sue). Modello delle battaglie per la libertà di informazione in un regime, a quanto pare. Peccato che del regime egli sia uno dei vertici: si notino le sue continue apparizioni in tv: il ragazzo è ubique.
E poi è andato a pescare i commenti contro i gay da parte dei leghisti.
Che i leghisti siano ignoranti e molti tra loro omofobi è cosa nota, ma grazie per aver illuminato la platea con 30 anni di ritardo, caro Federico.
Il problema è che Fedez e Ferragni sono portatori di uno stile di vita e di valori che è, a parer mio, deprimente come il ministro dell’interno che balla a torso nudo con un gin&tonic e rimira le cubiste seminude che ballano sull’inno nazionale. Mentre il ministro dovrebbe comportarsi in modo diverso in virtù della carica che ricopre, Fedez e Ferragni, che hanno milioni e milioni di followers, sono lo specchio del consumismo sfrenato, del culto dell’immagine, del miliardario annoiato e ribelle. Ma la loro è una ribellione artefatta, che dura il tempo di una Instagram story.
Quella di questi personaggi è una continua autocelebrazione, concessa con il beneplacito del mainstream e della politica, e rappresenta forse il peggio di ciò che il futuro della comunicazione in Italia fa presagire.
C’è un’intera categoria alla canna del gas perché i nostri Governi hanno deciso di chiudere per oltre un anno cinema e teatri senza uno straccio di evidenza scientifica.
E come ormai è prassi degli esecutivi, a serrande chiuse è stata corrisposta, se va bene, una pacca sulla spalla. Insomma, come per i ristoratori, è valso il principio “io ti chiudo, poi forse se mi ricordo ti darò qualcosa”.