Affari di Palazzo

La complessa partita del Quirinale

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Solo uno sprovveduto o una persona in assoluta malafede può credere che le lotte intestine alla maggioranza di governo siano dovuti al termine del coprifuoco. La posta in palio è molto più complessa e si chiama Quirinale.

di Paolo Desogus

Che i conflitti nell’attuale maggioranza (PD, M5S, FI, IT e Lega) siano dovuti a un’ora in più o in meno di coprifuoco ci possono credere i lettori tipici di Repubblica o i tanti rimbecilliti che vedono ancora nel Pd il partito erede di Berlinguer.

Certo, la Lega è stata in parte al gioco, ha mandato in tv Claudio Borghi, e su mandato di Salvini ha inscenato una mezza baruffa in Consiglio dei ministri. La Lega ha infatti bisogno di smarcarsi dal governo per non identificarsi troppo con le scelte di Draghi. Tirerà la corda fermandosi poco prima del momento di rottura, come avvenuto poco tempo fa sulla sfiducia a Speranza.

Nel PD la questione mi pare differente. Il partito di Letta non teme di identificarsi troppo con Draghi. La linea politica di questo partito è una nebulosa, un vuoto tattico che di volta in volta si adatta al contesto, anche grazie al supporto di un apparato mediatico largo e potente.

La partita che in questi giorni sta giocando il PD mi pare sia infatti quella di definire una nuova maggioranza in vista delle elezioni del nuovo presidente della Repubblica, che di fatto è orami il principale dominus politico, nonché la figura di garanzia sulla quale il PD si è appoggiato per stare al governo. Dal 2008 a oggi il PD non ha mai avuto un Presidente della Repubblica ostile o estraneo alla sua area politica.

Neppure i partiti che lo hanno fondato, post comunisti e post democristiani, hanno mai avuto un presidente nemico sin dai tempi di Scalfaro e dunque dalla caduta della prima Repubblica. Occorre dunque mantenere una linea di difesa sul Quirinale. Per il PD è un fatto di sopravvivenza e di potere, cioè delle uniche ragioni di esistenza di questo partito.

Draghi, contrariamente a quello che si può credere, non risponde a queste esigenze. Ha tessuto un rapporto troppo stretto con la Lega e in particolare con Giorgetti, il ministro politico più importante dell’attuale governo, l’uomo che ha redatto il documento per l’introduzione del pareggio di bilancio in Costituzione, votato in seguito alla lettera di Trichet e per l’appunto Draghi.

Oltre a questo suo particolare rapporto con la Lega – rapporto che nessun Borghi può cancellare – l’ex presidente della Bce è agli occhi del Pd poco manovrabile, poco incline all’intrallazzo se i compagni di merende sono Franceschini o Letta. Inoltre Draghi ha una posizione in Europa ambigua. Ha un prestigio enorme dovuto al suo ruolo nella Bce, ma è anche sommamente inviso alla cancelleria tedesca.

Inoltre sono noti suoi legami filo atlantici in un momento in cui nel Mediterraneo si sta giocando una partita complessissima, in cui gli Usa sono protagonisti con tutto quello che questo comporta contro le velleità dell’Europa.

Vedremo dunque. Le parole di Paolo Mieli – uomo del palazzo sensibilissimo e accortissimo – pubblicate ieri sul Corriere per definire la necessità di una nuova maggioranza che escluda la Lega mi pare vadano in quella direzione.

Ma c’è dell’altro. Sul Quirinale si stanno accendendo le speranze di molti. Lo si vede dalle numerose comparsate di Prodi, che non ha mai rinunciato all’ambizione del papato laico presidenziale. Si è poi rifatto vivo persino Giuliano Amato oggi su Repubblica. E c’è Cartabia che brama il colle più alto. Ma ripeto, vedremo.

Una cosa mi pare certa. Il nome di Draghi è stato fatto troppo presto e con un clamore eccessivo e straripante. E come molte altre volte nella storia delle elezioni per il Quirinale, il primo nome che si fa è quello che si intende bruciare.

Nota a margine. Qualcuno si chiederà qual è il ruolo dei 5 stelle in tutta questa faccenda. Ebbene, il “mov” non esiste più.
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Redazione Elzeviro.eu

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