Autore: Gilberto Trombetta
Nel 2018 nel suo “La parola ai giovani: dialogo con la generazione del nichilismo attivo“, Umberto Galimberti sottolineava come oggi un liceale conosca in media 300 vocaboli rispetto ai 1.600 di un coetaneo del 1976.
«È un problema? Sì, è un grosso problema, perché, come ha evidenziato Heidegger, riusciamo a pensare limitatamente alle parole di cui disponiamo, perché non riusciamo ad avere pensieri a cui non corrisponde una parola. Le parole non sono strumenti per esprimere il pensiero, al contrario sono condizioni per poter pensare».
L’Italia è il Paese che spende di meno per l’istruzione tra tutti i 37 che fanno parte dell’OCSE. Il 6,3% del PIL contro una media del 10,1%. Media che è del 9% del PIL per quanto riguarda i Paesi UE.
Vuole dire che in Italia la spesa pubblica per l’istruzione è stata tagliata quasi di un quarto (-22,2%) tra il 2005 e il 2016.
A questo bisogna aggiungere che in Italia, fra settembre 2018 e luglio 2019, ci sono stati episodi di crolli in una scuola ogni tre giorni. Il dato più alto degli ultimi 5 anni.
Inutile sottolineare come gli investimenti pubblici per la manutenzione e la costruzione di edifici scolastici siano stati negli anni progressivamente ridotti.
Facendo finta per un attimo di non vedere l’aspetto più importante – cioè l’inammissibile costo umano, reale e potenziale – esiste una stretta correlazione tra gli investimenti nell’istruzione e la crescita di un Paese.
Eppure continuiamo a tagliare un settore che, rib adiamolo, è molto più importante del suo comunque immenso moltiplicatore economico. Perché?
«Un Paese che distrugge la sua scuola non lo fa mai solo per soldi, perché le risorse mancano o i costi sono eccessivi. Un paese che demolisce l’istruzione è già governato da quelli che dalla diffusione del sapere hanno solo da perdere» (frase spesso erroneamente attribuita ad Italo Calvino).
Revisione ed impostazione grafica: Lorenzo Franzoni
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