APPROFONDIMENTO: ESTERI
Un gruppo di doganieri francesi con una vocazione da sceriffi ha fatto irruzione in una sala preposta all’accoglienza, presso la stazione del paese transfrontaliero di Bardonecchia, rinomata località sciistica della provincia di Torino.
Una qualche soffiata ha spinto i francesi, che in territorio estero dovrebbero essere coadiuvati, in atti di polizia giudiziaria, dalle forze dell’ordine locali, a controllare un nigeriano sospettato di traffico di droga.
Il signore in questione, partito dalla capitale francese, era diretto a Napoli, dunque una rotta opposta rispetto a quella del problematico traffico di migranti, ciò che, ancora una volta, avrebbe dovuto far riflettere sull'(in)opportunità di agire senza la cooperazione delle forze di polizia.
L’uomo è stato sottoposto dai doganieri all’esame delle urine, dal quale è peraltro risultato negativo rispetto all’uso di qualsivoglia stupefacente.
Meloni e Salvini, sopra tutti, hanno ribadito l’illiceità dell’azione e preteso scuse ufficiali dalla Francia. Il leader del Carroccio si è spinto a richiedere l’allontanamento dei diplomatici transalpini, mentre un incontro tra i vertici presso il Ministero degli Esteri è atteso a Roma nei prossimi giorni per chiarire la posizione di Parigi.
Intanto il ministro degli esteri francese ha definito l’Italia una nazione sorella, ma non ha ammesso, come nemmeno Macron, la violazione della sovranità italiana.
Si è invece fatto riferimento agli accordi del 1990, ed a una loro supposta stretta applicazione. Tali accordi prevedono la possibilità di azione oltre frontiera in casi di pericolo per la sicurezza di uno dei paesi, ma la cortesia istituzionale, prima ancora dell’indagine giuridica dell’accaduto, vieta qualsiasi atto di irruzione.
Gli atti di indagine giudiziaria, comunque, tra cui pure il prelievo forzoso di campioni organici da un individuo, invece, non sono proprio contemplati dallo stesso accordo. Ecco perché la procura di Torino ha aperto un fascicolo d’indagine contro i doganieri francesi, per ora ignoti, per abuso d’ufficio e altri reati facilmente ipotizzabili.
Il ministro delle finanze francese, Gérald Darmanin, ha affermato che “Il locale della stazione di Bardonecchia è a disposizione della dogana francese, nell’ applicazione degli accordi del 1990 del Bureau à contrôles nationaux juxtaposés. Siccome qualche mese questo locale è stato anche messo a disposizione di un’associazione per l’aiuto ai migranti, gli agenti hanno domandato la possibilità di accesso ai sanitari, che è stata a loro accordata. Siamo comunque a disposizione per ulteriori chiarimenti”.
Anche Macron (leggi qui) sottolinea come nell’azione non vi sia stata violazione della sovranità italiana.
Peccato che quella sala, così come la sala gemella che presso la stazione di Modane (Francia) dovrebbe essere a disposizione dei poliziotti italiani, non venga utilizzata per scopi simili da più di dieci anni! Una consuetudine che non ammetterebbe pertanto la reintroduzione di una prassi di controlli fattivi (e invasivi) quali quelli che si sono voluti inopinatamente operare.
La Francia, in tempi recenti, non è nuova a simili interpretazioni fluide e a loro favorevoli dei confini, a discapito del diritto e della intoccabilità delle frontiere. Così l’accordo di Caen del 1986, che favorisce la Francia per le zone di pescosità, ha permesso, in base ad un’interpretazione arbitraria, che pescatori italiani venissero portati nei porti francesi per essere interrogati circa la loro attività, quando si trovavano in zone marittime italiane o di pesca comune.
Intanto il leader di Unidos Mauro Pili, due mesi fa aveva denunciato la procedura europea francese “per lo scippo del mare internazionale davanti alle coste della Sardegna”. (leggi qui) I nostri vicini hanno cercato di cambiare, salvo successiva rettifica “scusate è stato un errore” le mappe che delimitano i confini marittimi tra le due isole del Mediterraneo.
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