Allora un ex presidente del consiglio, a fronte di un obolo di chissà quante migliaia di euro, si è recato in terra saudita per una conferenza nella quale ha dispensato sperticate lodi verso il principe Bin Salman. Tra queste, le più interessanti risultano essere l’invidia per il costo del lavoro disciplinato da Ryhad ed un pseudovaticinio che incorona il regno arabo come cuore pulsante di un futuro rinascimento.
Ecco il paese incensato da Renzi è quello in cui i lavoratori crepano come mosche senza diritti sindacali in un regime di semischiavitù (d’altronde la fascinazione da parte di chi ha posto la sua firma sul job’s act ha un nesso causale lampante); ed è anche quello in cui i giornalisti dissidenti vengono fatti a pezzi – letteralmente, non metaforicamente – nelle ambasciate di quello stesso illuminatissimo principe che ha concesso la prima patente a una donna giusto un paio di anni fa.
La notizia tuttavia non si limita al fatto in sé, ma al modo in cui è stata riportata: come un mero racconto di cronaca politica. Con qualche smorfia di disappunto a denti stretti da parte dei giornalisti un po’ più schizzinosi certo, ma sostanzialmente come un fatto di cronaca, sic et simpliciter. “Tizio ha incontrato Caio e gli ha detto x y e z: bah”.
E non tanto per la partigianeria di certi gruppi editoriali nel racconto del dibattito politico italiano, quanto piuttosto per la volontaria miopia nella narrazione della politica estera. Un due pesi e due misure impudente, che si prostra supinamente ai paradigmi occidentali e che elargisce patenti di totalitarismo seguendo criteri di comodo: Russia no, Arabia Saudita sì, Siria no, Israele sì, Cina nì.
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