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6 milioni di disoccupati in Spagna, ma nessun problema per l’Ue

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Tra la scostante indifferenza dell’informazione e le parabole ricche di moralismo ma povere di contenuti uscenti dai tavoli della Commissione Ue, esiste una realtà in cui il tasso di disoccupazione dell’Europa meridionale ha raggiunto livelli impressionanti.

Giornali e Tv parlano di Spagna solo in relazione ai successi, per altro forse terminati, di Real Madrid e Barcellona, squadre rette finanziariamente dal fragile tessuto bancario spagnolo. C’è invece un dato che viene omesso dalla principali testate giornalistiche, o addirittura viene ricordato in un trafiletto a fondo di articolo e pagina; trattasi di un 27,2%, riferito al tasso di disoccupazione spagnola di questo primo trimestre 2013.

Come qualunque manuale elementare d’economia ci insegna la soglia per così dire critica del tasso di disoccupazione si attesta solitamente al 10%, tenendo conto come diceva Keyenes della cosiddetta disoccupazione frizionale; in Spagna dunque la soglia d’allarme è stata supera di ben più del doppio, un indice molto più preoccupante di qualsiasi spread in rialzo, dato che si riferisce al settore più importante dell’economia reale, il lavoro.

Una tale sconcertante realtà è frutto di dissennate politiche economiche attuate da chi aveva enormi interessi sul breve nel mercato finanziario dei titoli e dei cambi: la nascita del WTO (organizzazione mondiale del commercio) si situa in questa strategia, dato che pone in concorrenza mercati in cui il costo sociale del lavoro risulta ben diverso (l’Italia non può rinunciare alle conquiste sociali in ambito lavorativo per poter concorrere con il mercato del lavoro cinese, ovviamente molto meno costoso).

Fatto ancora più incredibile ed occultato per bene dalla banda mediatica pro-Moody’s è l’assenza nei parametri di Maastricht di un vincolo riguardo al tasso della disoccupazione (i parametri riguardano la stabilità dei prezzi, il disavanzo ed il debito pubblico, il tasso di cambio ed i tassi d’interesse). Sembra quasi che per l’allegra combriccola che ratificò il Trattato di Maastricht non ci fosse spazio per questo “sconosciutomercato del lavoro, come se l’economia di un Paese si potesse reggere anche senza l’apporto lavorativo dei propri cittadini.

Meno male che il Commissario agli affari economici Olli Rehn ha affermato che: “C’è ora spazio di manovra per sforzi meno aggressivi“, ennesima frase che certifica la volontà europea di mettere mano ai conti pubblici anche a costo di tassi di disoccupazione elevatissimi.

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Redazione Elzeviro.eu

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