Eppure dopo giorni di riunioni presso Villa Pamphili con le più alte cariche europee e alcuni tra i rappresentanti delle parti sociali (con piccole e medie imprese decisamente sotto rappresentate), i soldi continuano a rimanere delle semplici promesse. Promesse per un futuro sempre più grigio per chi ha iniziato a ricevere le prime cartelle esattoriali.
Abbiamo quindi voluto analizzare questo particolare momento insieme ad una persona che non le manda a dire e che detesta il politicamente corretto: Daniele Capezzone. Opinionista per il quotidiano La Verità (per cui cura anche la rassegna online #LaVeritaAlleSette) e per il magazine Atlantico. In tv appare come spesso nei programmi di informazione delle reti Mediaset. Ha lasciato l’arena politica dopo essere stato due volte parlamentare, e dopo aver presieduto la Commissione Attività produttive (2006-2007) e la Commissione Finanze (2013-2015) della Camera dei deputati.
Male il merito, malissimo il metodo. Nel merito, la kermesse è stata totalmente inutile: un circo che è andato avanti per dieci giorni senza produrre soluzioni, ma solo un avvicendarsi parossistico di ospiti e figuranti. Malissimo il metodo: nessun paese al mondo ha avuto bisogno di questo tipo di scena (e scenografia), funzionale solo alla macchina mediatica di Palazzo Chigi.
Dopo aver saltato e bypassato il Parlamento, a Conte comincia a stare stretta perfino la sede fisica di Palazzo Chigi. Vuole scenografie principesche per costruirci il suo “palinsesto” quotidiano, il “reality” da fornire ai media amici. Ma temo che avrà una brutta sorpresa: l’Italia reale è senza soldi, ha di fronte una crisi profonda, e mi pare sempre più infastidita da questo tipo di recite che nulla hanno a che vedere con la vita vera delle famiglie e delle imprese.
Non c’è alcun dubbio, a mio avviso. La strada maestra è quella della Bce: peraltro l’unica praticabile in questo momento. L’Italia può emettere i suoi titoli, collocarli sul mercato, e sapere che se necessario Francoforte li acquisterà. Naturalmente non è mai divertente fare nuovo debito, ma il denaro recuperato per questa via potrebbe essere utilizzato per gli scopi che davvero ci sarebbero utili: più risorse a fondo perduto alle imprese, rinvio delle scadenze fiscali, taglio di tasse, ecc.
Tutte le altre strade hanno almeno due problemi: il primo è che al momento non c’è un euro disponibile (tranne il Mes, che però è una trappola per le condizionalità, i vincoli e i controlli che possono scattare in un secondo momento), e il secondo è che, quand’anche tra molto tempo arrivasse qualcosa, l’uso sarebbe vincolato ad alcuni scopi e destinazioni.
Le differenze nel centrodestra ci sono, a partire dalla sfiducia o dalla fiducia nei confronti di alcuni strumenti europei. Personalmente, credo che la Lega abbia avuto ragione, in questa fase, a insistere favorevolmente sul ruolo della Bce, e invece a temere controlli, condizionalità e vincoli più o meno esplicitamente legati a Mes e Recovery Fund. Ma ora il compito dei tre leader – a mio avviso – è quello di enfatizzare ciò che li unisce, di insistere ogni giorno sul denominatore comune, e di non investire energie politiche e comunicative sulle differenze.
E sarà molto utile, come hanno già meritoriamente fatto a partire dall’ultima legge di stabilità, e poi via via sulla massa di decreti messi in campo da Conte nell’ultimo semestre, continuare a organizzare un lavoro parlamentare comune, un’attività emendativa coordinata. Dalle cose più piccole e quotidiane (il coordinamento parlamentare) si può passare all’elaborazione di pochi punti fermi (in politica estera e in economia, ad esempio) su cui impegnarsi tutti a convergere, dando agli elettori un senso di compattezza di fondo.
Guai se invece si facesse a un centrosinistra che non lo merita il regalo di una divisione, o, peggio, il dono inaccettabile di un salvataggio parlamentare, di una stampellina in Aula, il giorno in cui Conte dovrà inevitabilmente fare i conti con i guai della sua coalizione.
Il tema è noioso e respingente per i cittadini: ma un test da tenere d’occhio è anche quello della legge elettorale. Sarebbe un errore esiziale se il centrodestra dicesse sì al proporzionale peggiorato che Pd e Cinquestelle si preparano a portare in tavola. Sarebbe la premessa dello smembramento del centrodestra, e la rinuncia a un’opzione di governo autonoma e alternativa. Si riparta dal maggioritario, accompagnato da una rinnovata battaglia presidenzialista, per un assetto “decidente” che consenta agli elettori di scegliere. O di qua, o di là. Senza regali a Conte e Casalino.
Inutile girarci intorno. I rischi sono enormi. In queste settimane post lockdown, l’80% dei negozi, ad esempio, ha coraggiosamente scelto di riaprire. Ma le previsioni dicono che, da qui a fine anno, i ricavi rischiano di oscillare tra il 30% e il 50% di quelli di un anno fa: siamo cioè su una linea pericolosamente coincidente con quella dei costi fissi. E se aggiungiamo da un lato le scadenze fiscali devastanti che incombono, e dall’altro il fatto di non aver incassato nulla a febbraio, marzo, aprile, maggio, il rischio vero per moltissimi è la chiusura definitiva. Temo che a Palazzo Chigi, impegnati com’erano a fare le foto a Villa Pamphili, non abbiano capito quello che si prepara.
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