Affari di Palazzo

Facciamo chiarezza sull’italiano rapito in Burkina Faso

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Sembra che il trentenne italiano scomparso in Burkina Faso il 15 dicembre sia stato rapito, insieme alla sua compagna di viaggio canadese. Il Tg La7 di sabato sera descrive il Paese come un territorio sconvolto da terrorismo e scontri tribali. Vediamo di approfondire.

Il contesto politico

Thomas Sankara, padre della Patria e vittima di disegni necoloniali francoamericani.

 

1987: Thomas Sankara, presidente del Burkina Faso nei quattro anni precedenti e autore di importanti riforme sociali, viene fatto uccidere dal suo vice Blaise Compaoré, sostenuto da Francia e Stati Uniti, che rimane al potere per i successivi 27 anni.

2014: in ottobre Compaoré è costretto a dimettersi a causa di un’enorme sollevazione popolare che gli impedisce di modificare la costituzione e prolungare ulteriormente il proprio mandato, e fugge in Costa d’Avorio. Si forma un governo di transizione.
2015: in settembre un golpe militare porta all’arresto del presidente e del primo ministro. Dopo sei giorni si raggiunge un accordo tra golpisti e lealisti, e gli arrestati vengono rilasciati. Le elezioni presidenziali del 29 novembre sono vinte da Roch Marc Christian Kaboré, che assume l’incarico un mese dopo.

Il Burkina Faso non è un Paese sicuro

 

Una manifestazione di protesta contro Campaoré

Compaoré aveva stretto accordi con organizzazioni criminali dedite al traffico di armi e droga, nonché con gruppi terroristici, in modo che la loro presenza non destabilizzasse il Paese. Il nuovo governo non ha rinnovato questo clima di complicità e ora i soggetti di cui sopra, insieme a jihadisti provenienti da Mali e Niger, stanno attaccando lo Stato per dimostrare quanto sia fragile. Dal 2016 al 2018 diversi attentati sono stati compiuti ai confini settentrionali e orientali del Burkina Faso, e anche nella sua capitale Ouagadougou.

La discutibile narrazione mediatica

La situazione del Burkina Faso è senza dubbio molto critica: difatti, agli occidentali che vi risiedono e lavorano è proibito l’accesso a buona parte del territorio nazionale, e difficilmente lasciano la capitale. Tuttavia, il servizio televisivo andato in onda, impiegando l’aggettivo “tribale”, dava l’idea di un Paese nel quale i conflitti interni sono una caratteristica strutturale e inevitabile della vita comunitaria.

Come spiegato in precedenza, si tratta invece di fenomeni provocati dalle élite politiche nazionali e da attori perlopiù esterni o quantomeno transnazionali come appunto i gruppi criminali e terroristici che operano nel Sahel. Si può immaginare che da un servizio di pochi minuti questo genere di approfondimento non sia possibile, tuttavia un minimo di attenzione sulla terminologia che si impiega non guasterebbe.

 

di Lorenzo Pedretti

 

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Gabriele Tebaldi

Classe 1990, giornalista pubblicista, collabora con Elzeviro dal 2011, quando la testata ha preso la conformazione attuale. Laurea e master in ambito di scienze politiche e internazionali. Ha vissuto in Palestina, Costa d'Avorio, Tanzania e Tunisia.

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