Oggi compare sul Corsera un interessante e condivisibile articolo a firma di Paolo Mieli, nel quale viene descritta come un atto discutibile la firma di un manifesto pro Lula da parte di politici della (residua) sinistra italiana. Fassino, Camusso, Prodi, D’Alema, Bersani, Epifani, infatti, hanno stilato un documento che vorrebbe deprecare le azioni della magistratura carioca, la quale ha spiccato un mandato di cattura nei confronti dell’ex presidente Lula.
Luis Inàcio Lula da Silva, però, è riuscito ad ottenere tempo e permessi prima di consegnarsi alla giustizia. Uno dei quali per far celebrare una messa in suffragio della sua defunta moglie, con tanto di prete rosso e pugni chiusi, a cerimoniare l’addio dal proscenio politico nazionale. Marisa Leticia, la moglie scomparsa un anno or è, tuttavia, ha rappresentato se non una chiave di volta, un’importante parte dell’inchiesta che ha portato all’arresto del presidente, il quale ha perfino tentato di ottenere un’ulteriore deroga all’incarcerazione per vedere una partita del Palmeiras.
L’ex presidente, antico militante del Partito dei Lavoratori, osannato da ali di folla in quanto “vicino al popolo”, è l’unico presidente senza un titolo di studio nella storia del paese. Nella sua scaltrezza è riuscito a trattare con lo Stato ottenendo un regime carcerario privilegiato. Non proprio un atteggiamento da icona nazional-popolare. La richiesta di andare in galera un giorno dopo per motivi “calcistici” (oltre alle deroghe già accordate), però, è stata caldamente sconsigliata dagli stessi legali del politico, alfine arrestato per corruzione.
Ebbene, lui e Marisa Leticia si sarebbero inequivocabilmente comportati da proprietari dell’attico lussuosissimo a San Paolo, i cui lavori di ristrutturazione sono stati pagati dalla Petrobras, colosso petrolifero della zona. Almeno stando alle numerosissime testimonianze, sufficienti per la magistratura per spiccare un mandato di cattura, ma non abbastanza, evidentemente, per i sodali del Partito democratico italiano e satelliti.
Ciò che lascia basiti se si tiene conto di come, per decadi, i nostri prodi siano saliti sulle barricate per contestare gli avversari politici al suono di “le sentenze devono essere rispettate!“, salvo fare dietrofront quando uno dei “loro” viene colto con le mani nella marmellata. Ebbene, come sostiene Mieli, i nostri policanti avrebbero fatto un gesto degno di considerazione, e forse anche di stima, se solo avessero difeso voltairianamente un rivale politico. Così facendo, invece, non fanno altro che mettersi di traverso alla legge.
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