Come l’anno scorso il nostro giornale ha deciso di continuare a ricordare uno dei fatti più tragici e sanguinosi degli ultimi trent’anni accaduto a Pechino nella notte tra il 3 e il 4 giugno del 1989. In piazza Tienanmen, dove migliaia di studenti cinesi si erano accampati da più di un mese, l’esercito della Repubblica Popolare Cinese entrava con i carri armati e faceva strage di innocenti dietro ordine di Den Xiaoping e con l’avvallo del primo ministro Li Peng. L’allora Segretario Generale del Partito Comunista Cinese Zhao Ziyang fu l’unico a cercare di opporsi ad una simile e spietata rappresaglia cercando con tutte le forze il dialogo con gli studenti a cui si erano affiancati centinaia di migliaia di cinesi della capitale. Nonostante Zhao fosse andato in piazza con il proposito di convincere quei ragazzi a desistere dai loro propositi, i fatti precipitarono per la durezza di Den Xiaoping che, nonostante allora non ricoprisse più alcuna carica ufficiale governativa, era considerato una sorta di padre spirituale della patria con un potere quasi incontrastato. Lo stesso Zhao Ziyang per il suo tentativo di salvare il salvabile venne in seguito sottoposto a processo e condannato agli arresti domiciliari a vita.
La stessa visita a Pechino a metà maggio di Michail Gorbacev, che aveva posto fine ad un lungo periodo di guerra fredda tra L’Unione Sovietica e la Cina, aveva portato nuova linfa alla rivolta pacifica che stava dilagando nella stessa capitale. Di fronte al pericolo di dover fare armi e bagagli insieme all’intero entourage del partito, Den Xiaoping, supportato dal primo ministro Li Peng, e, con lui, dal comitato dei cosiddetti “Otto immortali” una sorta di spietata e ieratica commissione di aguzzini in nome del comunismo di stato, decise di introdurre la legge marziale in tutto il paese. E questo venne deciso non per cercare di attuare soltanto una velata minaccia nei confronti di studenti disarmati e di cittadini inermi ma per attuare un piano micidiale che mirava a spazzare brutalmente dalle strade ogni forma di protesta civile.
Il 4 maggio scesero nelle strade di Pechino almeno 100.000 persone inneggiando alla libertà e alla cosiddetta “Quinta Liberalizzazione” un documento che richiedeva la democrazia e il pluralismo partitico, concetti che suonavano come blasfemi alle orecchie dell’apparato del partito comunista cinese. Dopo una tregua che non portò a nulla, Den Xiaoping scatenò l’esercito forte dell’appoggio della legge marziale che in pratica dava mano libera su tutto e su tutti. Stando alle testimonianze degli stranieri e della stessa Croce Rossa i peggiori massacri si compirono nelle strade della capitale con i militari che pestarono a sangue i rivoltosi e spararono ad altezza d’uomo schiacciando tutti quelli che si trovavano al loro passaggio.
L’episodio di piazza Tienanmen fu soltanto l’epilogo di un’immensa strage protrattasi per diversi giorni. Gli studenti rimasti accampati in piazza issarono una sorta di statua alla dea della libertà fatta di carta pesta su uno scheletro di acciaio. Un simulacro rudimentale che però aveva un significato profondo e irrinunciabile e che si materializzava in definitiva nella ribellione ad uno dei regimi più nefasti e odiosi della storia dell’umanità. I carri armati nella notte del 4 giugno irruppero nella piazza schiacciando e massacrando i coraggiosi e inermi studenti. All’alba il campo era ormai sgombro e come unico monumento al valore e al coraggio di chi aveva cercato senza armi di opporsi alla tirannia rimanevano solo i resti dei water chimici portatili che gli studenti avevano installato durante la loro occupazione.
Nessuno lo sa realmente anche perché i media cinesi si guardarono bene dal fornire notizie precise a riguardo. Di quella coraggiosa rivolta popolare ci rimane una foto famosa che ritrae uno studente “armato” soltanto della sua giacca e di un foglio di carta che si mette davanti ai carri armati che cercano di raggiungere la piazza. Lo stesso studente riuscì a salire su uno dei tank e a parlare con il suo occupante ma non sappiamo cosa riuscì a dirgli. Dopo, i carri provarono a bypassarlo ma lui continuò a mettersi davanti offrendo il suo corpo inerme come bersaglio. Alla fine altri studenti riuscirono a spostarlo per evitargli conseguenze peggiori. Non sappiamo a tutt’oggi che fine abbia fatto questo anonimo studente, se sia stato in seguito processato, “giustiziato”, recluso o se invece il suo coraggio trovò un epilogo più felice. L’unica cosa che sappiamo è che il suo esempio, insieme a quello degli altri studenti cinesi, servì a molti altri ragazzi europei per abbattere qualche mese dopo il muro della vergogna liberando l’Europa e il mondo intero dall’incubo del Comunismo Sovietico.
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