Pena di morte: Stati Uniti come Iraq e Yemen

La pena di morte è la punizione “correttiva” più inutile che sia mai stata inventata. Non concede infatti una chance di redenzione al condannato, sempre che esso se ne voglia avvalere, ma in particolare non è per nulla punitiva nei confronti del condannato stesso, che così lascia la vita e le sue malefatte senza troppi sensi di colpa.

Persone che potrebbero diventare utili in vista di una manodopera forzata, che potrebbe eventualmente riportarli sulla via della redenzione, vengono invece uccise sommariamente. Nel 2012 ancora 21 paesi del mondo utilizzano questa barbara pratica, e almeno 682 sono state le vittime nell’ultimo anno di queste esecuzioni.

Pare che il primato spetti alla comunista Cina, dove l’ideologia dell’uguaglianza marxista è imposta evidentemente a suon di esecuzioni (non abbiamo  però dati certi a causa della volontà di Pechino di frenare qualsiasi fuga di notizie). Chi si è dato da fare è sicuramente l’Iraq, paese in teoria democratizzato, ma che in realtà ha messo a morte almeno 129 persone nell’ultimo anno; anche l’India ha ripreso la truce pratica dopo ben otto anni di inattività.

Ma ciò che più lascia di stucco è la continua e frenetica attività negli Stati Uniti: nel paese del Premio Nobel per la Pace Obama sono state giustiziate ben 43 persone. Sono infatti ben 9 gli Stati americani che ancora utilizzano l’esecuzione capitale per risolvere i crimini più spinosi.

Essi rappresentano l’unico stato occidentale in cui viga la pena di morte, nella “sanguinaria” vecchia Europa nessuno Stato utilizza più questa pratica da oltre 100 anni, se si eccettua il caso, comunque marginale, della Bielorussia.

La patria della democrazia, della libertà e delle crisi finanziarie  è anche terra di non ritorno per chi delinque, ma ancora più agghiacciante è il silenzio di Tv e giornali.